Atto Camera
Interpellanza 2-00478
presentata da
MAURIZIO TURCO
giovedì 19 aprile 2007 nella seduta n.147
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro per i beni e le attività culturali, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere - premesso che:
nelle ultime settimane diversi membri del Governo hanno adottato iniziative e prese di posizione in favore della tutela del paesaggio italiano e contro il proliferare degli insediamenti per la produzione energetica da fonte eolica nel nostro Paese; nel mese di marzo il Ministero per i beni culturali ha presentato le proprie «Linee guida per la progettazione dell'inserimento nel paesaggio delle tecnologie dell'eolico», la cui emanazione va accolta con favore, anche se si tratta di un atto unilaterale non rispondente, secondo l'interrogante, al disposto di legge; inoltre il 17 marzo il Ministro Rutelli si è pronunciato «non per il blocco (degli impianti eolici), ma per l'attenzione e la qualità»; il Ministero sta peraltro valutando di riportare le competenze sulla tutela del paesaggio allo Stato, stante la dimostrata scarsa attitudine degli enti decentrati (o meglio dei loro amministratori) a resistere alla pressione degli interessi speculativi; il 23 marzo il sottosegretario all'ambiente Laura Marchetti ha proposto una moratoria nazionale, chiedendo di sospendere per sei mesi le autorizzazioni per l'eolico in attesa della definizione delle linee guida nazionali, concertate tra Ministeri dello sviluppo economico, dei beni culturali e dell'ambiente;
rispetto a quest'ultima presa di posizione non si è fatta attendere la risposta dell'Associazione industriali del vento (ANEV) e di Legambiente, entrambe associazioni ambientaliste riconosciute, che sul tema dell'eolico da tempo viaggiano a braccetto, le quali hanno parlato di rischi per il mancato raggiungimento degli obiettivi di Kyoto. Legambiente peraltro ha aggiunto che è «...persino surreale che in un Paese assediato dall'abusivismo edilizio, minacciato da una cementificazione speculativa e priva di ragioni sociali e demografiche, un esponente del Governo sostenga candidamente che la minaccia per il paesaggio italiano viene dall'energia eolica...»;
la proposta del sottosegretario all'ambiente è invece stata raccolta con favore da Italia Nostra - con il Comitato Nazionale per il Paesaggio, da Coldiretti, dal Club alpino italiano, dalla Lipu, da Altura, da Wilderness, nonché da una larghissima parte del mondo agricolo, turistico e venatorio, nonchè dalle centinaia di Comitati spontanei di cittadini in tutta Italia; va sottolineato che dei citati comitati spontanei fanno parte moltissimi iscritti e molte sezioni del WWF per cui questa associazione è da tempo in difficoltà sul tema eolico, in quanto al sostanziale approccio favorevole del centro si oppone la galassia della periferia; Legambiente, in relazione ai comitati locali ha parlato di «deriva settaria», mentre un suo esponente di rango più elevato ha dichiarato la moratoria «culturalmente devastante»;
le Associazioni e i Comitati spontanei hanno replicato a Legambiente, peraltro senza ottenere la medesima evidenza mediatica, che la Costituzione, la Convenzione europea del paesaggio e il Codice dei beni culturali pongono in carico allo Stato la tutela del paesaggio e non la produzione elettrica da fonti rinnovabili, la cui urgenza poggia sul solo articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003; sarà quindi opportuno verificare da quale parte sia la devastazione ed identificare le ragioni per le quali una produzione energetica che tutti avevamo salutato con favore si è trasformata nell'alibi di un ulteriore assalto al territorio, assalto che genera reazioni più pesanti in quanto si ammanta di ambientalismo; nella più completa anarchia programmatoria e con interventi anche privi Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) si sta consumando uno degli sfregi più gravi che il territorio abbia mai subito, poiché infatti l'eolico si insedia nelle zone tuttora libere del Paese, sopratutto le montagne rimaste finora immuni dall'assalto abitativo, industriale e commerciale; la vecchia legge Galasso, poi trasfusa nella successiva normativa vincolistica ed ambientale generale, assicurava la protezione delle montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole, riconoscendo loro il valore di «aree di ricarica» dell'aria e dell'acqua e di conservazione della biodiversità; è appena il caso di ricordare che la strenua difesa delle «aree di ricarica» è elemento centrale della teoria dello sviluppo sostenibile, cui tutti gli ambientalisti si richiamano, in quanto riconosce ad esse non solo un valore «patrimoniale», ma anche una valenza produttiva di beni indispensabili alla sopravvivenza;
per tali motivi correttamente il decreto legislativo n. 387 del 2003 (articolo 12) ha previsto, con il concerto dei Ministeri dello sviluppo economico, dell'ambiente e dei beni culturali, l'emanazione di linee guida per il corretto inserimento degli impianti energetici, in particolare eolici, nel paesaggio; in assenza di queste si è comunque proceduto in termini di urgenza dichiarando, nello stesso articolo 12, le opere energetiche di pubblica utilità ed indifferibili e consentendone l'installazione nelle aree classificate agricole; innanzitutto va rilevato che la pubblica utilità è un'«arma» giuridica tipica delle opere promosse da enti pubblici mentre è fuori luogo per opere promosse da privati; inoltre, mancando l'elemento fondamentale di regolazione, cioè le Linee guida, ne è derivata una serie di effetti perversi; i provvedimenti di blocco, ove si è riusciti ad emanarli, sono quasi sempre stati annullati dal giudice amministrativo sulla base dell'urgenza energetica; gli atti di tutela del paesaggio delle Soprintendenze, emanati in base alla Direttiva Urbani, atto unilaterale del Ministro dei beni e le attività culturali, sono stati annullati dai TAR e dal Consiglio di Stato in quanto è prevalso un concetto giuridico/culturale/economico in base al quale il paesaggio deve cedere di fronte alle esigenze economiche ed alla pubblica utilità o in ogni caso è «mobile» fino al punto di essere stravolto; la norma sull'accesso alle aree agricole è stata stravolta nel senso di utilizzare i fondi agricoli per realizzare le strade e altre opere «agricole» per l'accesso agli impianti eolici; in tal modo si riesce a stornare una parte dei costi consentendo agli industriali eolici di sostenere che il loro intervento è più efficiente di quanto in realtà non sia;
ma non è solo parte delle risorse destinate allo sviluppo dell'agricoltura ad essere reindirizzata verso l'eolico; nelle regioni meridionali ci si avvale delle agevolazioni fiscali e dei contributi in conto capitale di cui alla legge n. 488 del 1992, della quale sono totalmente travisate le finalità se si considera che, discendendo dalle norme sull'intervento nel Mezzogiorno (quale ad esempio le legge n. 64 del 1986) essa dovrebbe concentrarsi su attività ad alta intensità di lavoro; e lo stesso vale anche per i contributi regionali in conto capitale di cui ai Piani Operativi Regionali (POR), nati per sostenere l'economia e sviluppare il lavoro nelle aree depresse dell'Obiettivo 1 comunitario e non per gli investimenti ad alta intensità di capitale ed estranei al tessuto economico locale; la situazione è tale che, in questo momento, società di investimento estere promettono, ovviamente non agli investitori italiani, rendimenti del 7 per cento a coloro che investono nell'eolico dell'Italia Meridionale;
e a quanti sostengono che questa interpretazione altera, forse, lo spirito dell'intervento nel Mezzogiorno, ma comunque porta ricchezza ai comuni concessionari, va osservato che i proventi che ne derivano forse serviranno ad abbassare un po' l'ICI, ad assumere qualche giovane o a fare qualche festa, ma comunque non muteranno la loro condizione economica e sociale; e sempre volendo «interpretare» le norme sull'intervento nel Mezzogiorno, bisognerebbe capire perché non si è scelto di usare le risorse per fare, sì, l'eolico, ma facendo gestire i progetti direttamente ai comuni, sostenendo inoltre la loro capacità di accendere mutui per pagare progetti e competenze tecniche; così la ricchezza rimarrebbe per davvero in loco: e si tratta di ricavi tra 300.000 e i 400.000 euro l'anno a torre, se si considerano quelle oltre i 100 metri, oggi in voga; e società comunali o intercomunali potrebbero sviluppare competenze tecniche locali, avviando i giovani ad un «vero» lavoro; i pochi comuni, meno delle dita di una mano, che ci sono riusciti hanno realmente cambiato la propria vita diventando persino più ambientalisti anche in altri settori; i loro amministratori parlano delle infinite difficoltà che hanno dovuto superare: bisognerà allora anche capire perché quello che sembra così semplice per delle società private, diventa così complicato per degli amministratori illuminati;
ulteriori perplessità sorgono sul procedimento autorizzatorio di un impianto eolico il cui elemento centrale è il parere ambientale, che spetta alla Regione, ma a fronte della mole di progetti presentati si è riscontrata una crescente delega di tali attività alle province, con aumento del grado di parcellizzazione dei procedimenti e di degrado della qualità delle valutazioni; il suddetto parere si esercita attraverso uno screening, con il quale si verifica se il progetto debba o meno essere soggetto a VIA integrale; gli screening sino ad oggi effettuati hanno in pratica sempre escluso l'assogettabilità; inoltre si riscontrano una mancanza di trasparenza e notevoli difficoltà nell'accessibilità agli iter, istruttori e autorizzativi, dei progetti eolici e quindi un mancato coinvolgimento delle popolazioni interessate; in pratica se non si dispone di un consigliere di minoranza nell'ente locale interessato non solo non si accede alle carte, ma non si sa nemmeno nulla del procedimento fino a che questo non emerge in genere quando è ormai un «fatto compiuto»; nove decimi delle cosiddette sindromi di Nimby (o delle «derive settarie») sono figlie del tentativo delle amministrazioni di bypassare la volontà popolare, presentando il progetto quando ormai si è prossimi al cantiere o si sono creati dei diritti acquisiti di terzi, senza considerare le situazioni in cui le popolazioni e persino altre Amministrazioni, sono state letteralmente ingannate; è chiaro che una volta rotto il rapporto fiduciario tra cittadini ed Amministrazione, qualunque cosa, anche giusta, quest'ultima dica, la risposta è «no»;
nell'ultimo Piano energetico nazionale (PEN) adottato dall'Italia nel 1988, considerando i soli siti efficienti, cioè quelli con vento tra 4 e 22 metri al secondo per più di 2.000 ore l'anno si prevedevano per l'anno 2.000 circa 600 MW eolici; nel Libro Bianco nazionale, con cui l'Italia detta la sua strategia energetica si prevede che la potenza eolica installata giunga, entro il 2010, a 2.500-3.000 MW; la potenza elettrica da eolico installata a fine 2006 è pari a 2.123 MW con 2.575 torri eoliche industriali. Nel solo 2006 i «nuovi» MW collegati sono stati 417. Come si evince da un rapido screening nazionale (in particolare per le regioni Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia) su tutti i procedimenti regionali di progetti approdati già a pareri positivi (tra realizzati, in attesa di realizzazione e con parere ambientale già positivo e in attesa di cosiddetta autorizzazione unica), la potenza eolica complessivamente installata e autorizzata si potrebbe stimare in circa 7.500 MW; i numerosissimi impianti in fase di istruttoria ammontano complessivamente ad una cifra non inferiore ai 22.000 MW rendendo palese quanto sia emergenziale la situazione;
esiste un limite tecnico per il collegamento in rete di energie intermittenti (come l'eolico ed il solare fotovoltaico), la cui potenza non dovrebbe superare il 10-15 per cento della potenza totale dei generatori convenzionali pena l'instabilità della rete ed il rischio di blackout; poiché la domanda media italiana si aggira sui 51.000 MW (il picco di 55.619 MW è stato raggiunto il 27 giugno 2007 e siamo andati vicini al blackout) ne consegue che la massima potenza di energia da rinnovabili che la rete può sopportare non arriva a 7.500 MW; ne consegue che l'eolico sta occupando gli spazi delle rinnovabili senza che lo Stato abbia esercitato una funzione pianificatoria e senza che le Regioni abbiano assunto programmi consapevoli di quest'ulteriore condizionamento; ed anche ignorando l'opinione generale degli italiani, che hanno in tutte le sedi espresso la propria preferenza per l'energia solare in funzione della sua maggiore duttilità di produzione, vicinanza con i luoghi di consumo, possibilità di diffusione sul territorio in termini di microgenerazione, non invasività di aree vergini, del fatto, infine, che in Italia c'è molta più capacità solare che eolica; in linea teorica è stato calcolato che se tutti i tetti e capannoni d'Italia fossero coperti di pannelli solari, non avremmo bisogno di importare petrolio;
inoltre l'intermittenza e la non programmabilità della fonte eolica obbliga a mantenere centrali tradizionali a sostegno: il gestore di rete tedesco ha dichiarato (der Spiegel aprile 2004) che a causa dell'instabilità produttiva delle 15.000 torri allacciate alla rete, per ogni MW di eolico occorre mantenere 800 kW tradizionali di sostegno, con un «accendi e spegni» che il gestore medesimo valutava in 500 milioni di euro l'anno di maggiore spesa; con l'approssimarsi del limite tecnico, un mix corretto tra solare ed eolico, per l'Italia evidentemente sbilanciato sul solare, allevierebbe questa spesa; viceversa l'eolico sta correndo ad accaparrarsi tutto lo spazio disponibile e addirittura all'interno dell'eolico c'è la corsa a chi fa prima; vale la pena ricordare che l'obiettivo di fotovoltaico incentivato è di soli 3.000 MW al 2016 a fronte di richieste che, nell'ultimo bando, sono arrivate a quasi 18.000 MW;
per quel che riguarda gli aspetti più cari agli ambientalisti va rammentato che i «parchi eolici» o «fattorie del vento» sono impianti industriali a tutti gli effetti; se li valutiamo in termini di sviluppo sostenibile nel conto delle perdite dovremmo anche contabilizzare il fatto che non si tratta solo di installare torri da cento metri, ma anche di predisporre in zone intatte reti stradali in grado di sopportare il traffico di autoarticolati di oltre 45 metri, sgomberare vaste zone di bosco e di macchia (le torri distano in media 250 metri l'una dall'altra e vanno collegate tra loro), creare basi di cemento da 800 e più tonnellate che scendono nel sottosuolo per decine di metri, collegare con reti elettriche l'impianto alla rete nazionale, attraversando così altre zone intatte, che vengono messe a rischio di incendio; per non parlare della previsione di piazzare impianti in parchi, SIC, ZPS e zone di passo dei migratori, facendo strage dell'avifauna, senza che l'Istituto per la Fauna Selvatica (INFS) sia chiamato a pronunciarsi e vedendo respinti gli atti contrari dei Parchi e delle Soprintendenze; non si comprende quali siano le motivazioni con cui il nostro Paese ha sottoscritto Convenzioni per le Alpi, gli Appennini, il Paesaggio, Natura 2000, ha recepito le direttive comunitarie sugli habitat e l'avifauna se poi si aprono le aree protette ai cantieri, al traffico degli autoarticolati e a tutto il resto;
e ancora: impatti rilevanti si verificano anche sulla qualità della vita e sulle possibilità di sviluppo turistico delle zone limitrofe agli impianti; rumore a bassa frequenza, disturbo delle trasmissioni televisive, «effetto discoteca» dovuto alle luci notturne collocate sulle pale; l'esperienza della Germania, dove sono installati oltre 15.000 «asparagi», ha altresi dimostrato che risultano precluse le possibilità di sviluppo turistico ed agrituristico e che si è creato un danno economico alle comunità, poiché case e terreni scendono drasticamente di valore ed in molti casi diventano invendibili;
per quel che riguarda l'operato delle Regioni vi sono stati alcuni tentativi su scala di individuare elementi di pianificazione territoriale e di vincolistica a tutela degli elementi più importanti su area vasta. Alcune Regioni si sono distinte su questo aspetto (es. la Basilicata), adottando pur tardivamente dei parametri di tutela, incompleti, per alcune delle aree «sensibili». La Regione Sardegna invece ha sospeso gli iter in attesa del completamento del piano energetico regionale e delle prescrizioni dei piani paesistici; si tratta di iniziative inadeguate a garantire una soluzione omogenea su scala nazionale, per di più vulnerabili e perennemente messe in discussione da ricorsi giuridici mossi dalle società; prova ne sia il fatto che una moltitudine di torri eoliche ha già ottenuto pareri ambientali positivi dai preposti uffici regionali e il parere ambientale rappresenta la «dote» principale e sostanziale con cui i progetti stanno approdando alle conferenze di servizio previste dalla procedura per il raggiungimento della cosiddetta Autorizzazione Unica di cui al decreto legislativo n. 387 del 2003-:
se non ritenga opportuno:
a) proporre l'emanazione di un apposito decreto-legge o ad effettuare una sollecita ricognizione della normativa vigente allo scopo di individuare se sussistano strumenti per l'emanazione di un provvedimento urgente di sospensiva delle procedure di Autorizzazione Unica ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 per gli impianti di produzione energetica da fonte eolica, nonché delle procedure di screening o di VIA, per un arco temporale di almeno 6 mesi, valutando se non sia maggiormente opportuno attendere l'entrata in vigore delle Linee guida previste per legge;
b) adottare, ai sensi del comma 10 dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, le linee guida per l'inserimento degli impianti eolici nel territorio con cui siano garantiti gli elementi generali di tutela del territorio e di limiti all'installazione a cui assoggettare l'insediamento degli impianti e dalle quali le norme regionali possano derogare solo in senso più restrittivo;
c) disciplinare nell'ambito del previsto Piano energetico nazionale il coordinamento dell'apporto energetico dell'eolico con quello delle altre fonti rinnovabili stabilendo, in accordo con le regioni, le rispettive quote non derogabili e tenendo conto del limite tecnico di capacità di assorbimento della rete;
d) emanare disposizioni interpretative della normativa vigente volte assoggettare alla procedura di VIA completa tutti i progetti eolici industriali oltre una certa soglia dimensionale, anche in cumulo con altri impianti;
e) impegnare le Regioni nel senso di prevedere l'obbligo di rinnovo di tutte le procedure relative ad impianti eolici industriali con parere ambientale positivo o in attesa di autorizzazione unica a seguito dell'adozione dei Piani energetici regionali, coordinati con il Piano nazionale, nonché dei Piani paesistici regionali;
f) assumere iniziative anche normative volte ad assicurare la piena ed immediata conoscibilità dei procedimenti autorizzativi in materia di impianti di generazione energetica da fonti rinnovabili ai portatori di interessi singoli e di interessi sociali diffusi;
g) valutare, alla luce degli atti posti in essere dai suoi associati e dall'organizzazione nel suo complesso, riconducibili ad una filosofia che vorrebbe subordinare le norme di tutela del paesaggio, dell'ambiente, e della fauna agli interessi della produzione energetica, se sussistano i presupposti per la permanenza dell'Associazione nazionale energia del vento (ANEV) tra le associazioni ambientali riconosciute.
(2-00478)«Turco».