“Io credo che il 41 bis sia una situazione così disperata e disperante che è importante tenere viva l’attenzione, non dimenticarsi che ci sono detenuti in condizioni in cui è davvero impossibile difendersi”
“Tutto ha inizio nell’estate del 1992 quando nel
giro di due mesi, dal 23 maggio al 19 luglio, in due attentati furono uccisi i
due più popolari e capaci giudici antimafia, Giovanni Falcone insieme alla
moglie e a tre uomini della scorta e Paolo Borsellino insieme a cinque
poliziotti.
La risposta delle istituzioni non si fece
attendere. L’8 giugno 1992, con un decreto legge, venne introdotto
nell’ordinamento penitenziario l’articolo 41 bis, il circuito di detenzione più
duro del sistema penitenziario italiano. Si era previsto che tale regime
avrebbe cessato di avere effetto dopo tre anni ma, nel 1995, una legge ne
prorogò l’efficacia fino al 31 dicembre 1999 e un successivo provvedimento fino
al 31 dicembre 2002”: è questo l’inizio della storia dell’articolo 41 bis
dell’Ordinamento Penitenziario, di cui Maurizio Turco, che è stato anche
parlamentare radicale, è uno dei pochi narratori seri. Ha infatti anche curato,
insieme a Sergio D’Elia, il volume “Tortura democratica. Inchiesta sulla
comunità del 41 bis reale” pubblicato da Marsilio. Lo abbiamo incontrato nella
nostra redazione, nel carcere di Padova, per parlare di un tema, il 41 bis
appunto, che spesso è un tabù anche per chi si occupa seriamente di carcere e
di detenuti.
Oddone Semolin: Noi abbiamo cercato
di mettere a fuoco i meccanismi di come funziona il 41 bis, quello che volevamo
sapere è come pensate che si possa superare questo regime, perché siamo
consapevoli che la resistenza rispetto alla possibile abolizione di queste
forme di carcerazione è trasversale, politicamente parlando, per cui crediamo
sia molto difficile. Quali strumenti pensate di adottare per fare questo
passaggio concretamente, perché si arrivi al superamento? c’è uno spiraglio,
una possibilità?
Maurizio Turco: Penso che non ci sia
nessuno spiraglio, né alcun cambiamento in vista, anzi, penso stiamo andando
verso una sempre maggiore militarizzazione anche nel sistema carcerario, in
assenza di possibilità alcuna di un carcere che risponda a quelli che sono i
dettami costituzionali. Il resto è resistenza, noi stiamo cercando di resistere
al fatto di un peggioramento del 41 bis, ma non so se ci riusciremo, nel senso
che già parlano di riaprire Pianosa, l’Asinara, e sappiamo benissimo cosa
significa. Io sono stato questa estate a Badu ‘e Carros e c’è solo un detenuto
in 41 bis, ed è un fatto contrario alla legge, perché comunque anche i detenuti
in 41 bis hanno diritto alla socialità, per quanto simbolica. Le condizioni di
detenzione stanno sempre più peggiorando, nel senso che ormai c’è una parte di
detenuti in 41 bis che scontano un 41 bis aggravato e sono tutti quelli che
stanno in aree riservate, che sono completamente isolati dal resto del mondo, e
c’è anche la difficoltà per noi di poterli andare a vedere nelle necessarie
condizioni, per cui voi capite che è una situazione che va sempre più
ingarbugliandosi nel senso di violazioni sempre più dure, violente della legge.
La nostra prima proposta è quella del rispetto della legge così come è scritta,
il fatto è che poi ci sono tutta una serie di regolamenti che il DAP ha
emanato, che hanno reso il 41 bis quello che è oggi nella realtà, una realtà
contraria alla legge. Noi siamo riusciti in una occasione a far andare il Comitato per la
prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa non nei posti dove di solito
andava, ad esempio Spoleto, dove c’è una realtà un po’ più aperta, diciamo.
Quando siamo però riusciti a far andare il Comitato a Parma, lì sono venute
fuori 50 pagine di critica al sistema penitenziario, al sistema italiano,
all’applicazione della legge italiana, ecco perché il problema che oggi
dobbiamo porci come obiettivo, è quello di far rispettare la legge, il 41 bis,
in tutti i luoghi di privazione della libertà da parte dello Stato e nella
società intera. Se noi riuscissimo a far rispettare la legge, quella scritta,
le condizioni di detenzione sarebbero completamente diverse da quello che sono,
purtroppo ogni tentativo di riforma, di mettere il carcere in condizioni di
essere rispondente alla legge, non ha sinora portato a nulla.
Elton Kalica: Prima c’erano delle
garanzie, ora che invece è diventato un sistema, quali tutele ci sono?
Maurizio Turco: Intanto vanno
ricordati positivamente i 16 senatori e i 44 deputati che, che tra l’ottobre e
il dicembre 2002, votarono contro la legge istitutiva in senso permanente del
41 bis. Il regime straordinario è stato reso ordinario attraverso una
“stabilizzazione” perché era una legge che doveva essere sempre rinnovata ogni
due anni, proprio per le particolari - cioè, lo ripeto, violente – condizioni
di detenzione, poi nel 2002 il Parlamento ha deciso di farlo diventare un
sistema “ordinario”. Andrebbero studiati gli ultimi sei mesi del 2002, quello
che veniva detto in Parlamento e cosa veniva pubblicato sui giornali e nelle
agenzie. Io so solo che Giuseppe Ayala, già membro del pool con Falcone e
Borsellino e già sottosegretario alla Giustizia e che nel 2002 era membro della
Commissione antimafia, nell’ambito della discussione in Commissione sulla
stabilizzazione del 41 bis, disse: «(...) saranno stati centinaia i
provvedimenti che ho firmato, le motivazioni delle proroghe appartengono a
quella categoria di cose che si firmano previa bendatura degli occhi (tanto è
un’azione automatica che sappiamo fare tutti e con l’occhio bendato viene
meglio).» Perché prorogava ad occhi bendati la permanenza in 41 bis? Perché
ci sono persone che continuano a restare in 41 bis sulla base della
dichiarazione dei carabinieri di un paese dal quale magari mancano da 30 anni,
carabinieri che affermano che questa persona continua ad avere
rapporti con la gente del luogo pur essendo da 10 anni in 41 bis:
questa è negazione del diritto e della giustizia, della logica e
dell’intelligenza. E di questo il sottosegretario alla Giustizia
Ayala che prorogava i 41 bis ad occhi bendati se n’è accorto? Certo
che se n’era accorto tant’è che aggiunge: “(...) Questo lo
dico senza avanzare assolutamente critiche nei confronti degli
organi che erano di volta in volta chiamati a fornire gli elementi,
ma perché certe volte è quasi una probatio diabolica”.
Per quella che è la mia esperienza ho visto poche
persone uscire dal 41 bis e le ho ritrovate quasi tutte, ancora insieme a… Badu
‘e Carros, a Nuoro, in Sardegna. L’unico cambiamento è stato un peggioramento
delle condizioni di detenzione, intendendo con questo soprattutto la difficoltà
di avere rapporti con i familiari, perché è chiaro che quando ti sbattono in
Sardegna, se hai dei parenti in qualsiasi parte d’Italia, diventa un costo
serio, sei tagliato fuori da qualsiasi possibilità di un rapporto costante. Fra
pochi mesi in Sardegna risiederanno la metà dei detenuti in 41 bis e quasi
tutti coloro che ci sono passati e sono vittime (e sottolineo: vittime) di un
reato ostativo, cioè sono condannati a non uscire mai. In altre parole, questo
significa avere introiettato il senso dell’impunità da parte di chi dovrebbe
applicare la legge ed invece la viola. C’è un giovane detenuto che ho incontrato
una volta in 41 bis e due volte a Badu ‘e Carros ristretto in alta
sorveglianza. L’ultima volta mi ha detto “noi qui rappresentiamo il fallimento
dello Stato. Siamo da decenni in galera. Siamo condannati all’ergastolo
ostativo. La Costituzione non permette la restrizione a vita, ma c’è una legge
che la consente attraverso un meccanismo dal quale risulta che siamo noi che
vogliamo restare in carcere. Ogni volta che viene e ci trova ancora qui deve
pensare: abbiamo fallito”.
Sandro Calderoni: Ci
racconti come si vive nel 41 bis?
Maurizio Turco: Vivere? Tanto per
cominciare, non si potrebbero tenere le telecamere in cella, soprattutto se
sono puntate sui servizi igienici, ma questo continua ad accadere in tutte le
aree riservate. Ho avuto modo di vedere una cosa allucinante a Badu ‘e Carros,
dove c’è un solo detenuto in 41 bis: c’è un corridoio con diverse celle ma una
sola è occupata, ha una telecamera puntata sui “servizi igienici”, che
consistono in un bagno alla turca anomalo, non si trova ad altezza del
pavimento ma è rialzato di un metro per ovvie ragioni, perché c’è la volontà di
manifestare un potere fisico, di umiliarlo davanti alla telecamera quando deve
fare i suoi bisogni, e questo è qualcosa che è intimamente connaturato al 41
bis. La legge prevede espressamente che chi va in 41 bis può uscire unicamente
se si pente, noi - a far morire a casa almeno due persone, una c’è rimasta in
agonia dieci giorni, l’altra non hanno fatto in tempo a farla uscire
dall’ambulanza che è morta sull’uscio di casa, c’è proprio anche una logica
dimostrativa per gli altri, nel senso che una di queste due persone era stata
curata per tutt’altra patologia, la cartella clinica è stata inviata al
professor Tirelli, del centro oncologico di Aviano, il quale disse: questa persona
ha una prognosi infausta certa, può avere un mese di vita. E dopo un mese è
morta. Devo dare atto al Ministro Castelli che ha risposto positivamente al
nostro appello a non farlo morire come un cane ed è morto a casa sua. Di solito
un detenuto in 41 bis muore in ospedale dove viene trasportato dal carcere in
prossimità del decesso. Morire nella propria casa è fatto rarissimo. Certi
accanimenti hanno solo il senso dimostrativo, è chiaro che non c’è nessun
problema di sicurezza per quella persona ammalata di tumore che sta morendo di
tenerla li, però il tenerla li è di esempio per gli altri. Diciamo che lo Stato
ha fatto propria, ha assimilato e riprodotto la logica mafiosa. Lo Stato, cioè
chi dovrebbe prevenire e contrastare il formarsi di una tale logica.
Bruno Turci: A proposito della
telecamera puntata sui servizi igienici, un paio di anni fa io ero al carcere
di Opera ed in quel carcere c’è un reparto di 41 bis, la cosiddetta area
riservata, che ospita alcuni detenuti. Ricordo che era intervenuto il
magistrato di Sorveglianza che ha in pratica imposto di smantellare la
telecamera puntata sui servizi igienici. Lei ha informazioni di questo tipo
anche da altre parti?
Maurizio Turco: C’è anche una
sentenza della Cassazione che ha vietato questo, però io so di avvocati che in
nome dei propri assistiti hanno chiesto di togliere la telecamera e che hanno
avuto seri problemi. In tutte le aeree riservate ci sono le telecamere,
continuano ad esserci, ed è incredibile che non viene rispettata nemmeno una sentenza
della Cassazione, perché c’è un potere superiore ed è quello del DAP con le sue
funzioni periferiche, cioè i direttori dei singoli carceri. Vale a dire che
nelle diverse situazioni del 41 bis, è il direttore che può fare
la differenza, perché può determinare tutta una serie di ulteriori misure
che mettono in condizioni le persone che sono in 41 bis di subire una violenza
aggiuntiva, quella che noi abbiamo chiamato tortura democratica. È evidente
anche dal fatto che non siamo mai riusciti ad avere una ricerca epistemologica
sui problemi sanitari degli ammalati in 41 bis. Basterebbe quello per
dimostrare cosa succede là dentro.
Bruno Turci: A qualcuno che stia in
condizioni di sovraffollamento potrebbe venire da dire “però stanno da soli!”…
Maurizio Turco: Le
strutture del 41 bis che stanno ristrutturando sono tutte bianche, pulite e
ognuno ha la sua cella: come i manicomi che vedi nei film americani. Il
problema è che l’isolamento vale per 23 ore al giorno e non puoi fare niente,
non devi fare niente, evitano accuratamente che tu abbia qualcosa da fare,
sinanche parlare con il tuo vicino di cella. Dal mio punto di vista - che è
quello di una persona che sta incondizionatamente dalla parte dello Stato di
diritto, che si definisce partigiano della giustizia, della legalità e della
democrazia - sono in violazione di questi principi sia la detenzione in
condizioni di sovraffollamento o di isolamento. Isolamento che non escludo si
possa rendere necessario in rarissimi casi e per brevissimo tempo e che possa
essere ripetuto per una persona solo eccezionalmente e non certo a breve
distanza.
Dritan Iberisha: Quanti sono i
detenuti morti in 41 bis o suicidati?
Maurizio Turco: Il numero esatto non
lo sappiamo. Abbiamo chiesto al Ministero della Giustizia quante sono le
persone detenute in 41 bis che sono morte in carcere, quante mentre venivano
trasportate in ospedale, quante morte in ospedale o a casa da detenuti o da
quanto tempo erano stati scarcerati. A tutte queste domande il Ministero ha
risposto che non ci possono dare i dati… per motivi di privacy! Eppure questi
dati sono importantissimi, perché di solito le statistiche - anche per quanto
riguarda i detenuti comuni - sono drogate dal fatto che molti detenuti non
muoiano formalmente in carcere, per non parlare di coloro che muoiono di
carcere. Questo è peraltro un modo di non far capire come stanno le cose
neanche al legislatore. Nasconderci questi dati vuol dire metterci
nell’impossibilità di capire cosa è necessario fare o cosa lo Stato sta facendo:
negare queste verità vuol dire rendere impossibile il nostro dovere
costituzionale ad assumerci delle responsabilità. Per fortuna abbiamo il
Consiglio d’Europa, anche se ormai ha ritmi italiani: ci vogliono anni per una
sentenza e purtroppo anche li è una questione tutta legata all’Italia, che per
le ingiustizie che riesce ad infliggere sta mettendo in serio pericolo la
capacità del Consiglio di rispondere in tempi rapidi ed efficaci.
Bruno Turci: Ma lei ha notizia di
maltrattamenti, anche se non fisici, ma solo psicologici, vessazioni
all’interno di queste strutture di regime del 41 bis? E rispetto alle famiglie
le possibilità di rapporti, colloqui, telefonate quali sono?
Maurizio Turco: I rapporti sono
un’ora di colloquio al mese col vetro, oppure 10 minuti di telefono, compreso
il fatto che se dovesse cadere la linea i 10 minuti continuano ad andare
avanti, quindi è un regime in cui cercano di evitare al massimo il contatto con
l’esterno. Noi abbiamo raccolto anche segnalazioni di detenuti che per anni
hanno rifiutato di vedere i familiari, per non essere accusati di mandare
messaggi. Il carcere diventa così un luogo dove nascondere le persone,
possibilmente tenerle il più a lungo possibile, perché così è stato deciso. Per
me questo è il miglior esempio della negazione dello Stato di Diritto: quando
arrivi a questo livello, vuol dire che non c’è più democrazia. Ripeto: siamo
ben oltre i maltrattamenti, siamo ai trattamenti disumani e degradanti. Stiamo
parlando, per capirci, della tortura.
Sandro Calderoni: Lei
ha detto più volte che il 41 bis è una tortura. Cosa lo rende tale?
Maurizio Turco: Purtroppo
il 41 bis si lega a qualcosa di profondamente connesso alla tortura, il 41 bis
è tecnicamente una vera e propria tortura, perché ha la finalità della tortura.
La tortura a cosa è finalizzata? Non è finalizzata a fare del male per fare del
male, diciamo ad infliggere una pena aggiuntiva (anche se è accaduto!), la
tortura è finalizzata a far parlare, a strappare confessioni, estorcere
informazioni, provocare collaborazioni. La legge sull’ordinamento penitenziario
prevede espressamente all’articolo 4bis che per certi tipi di reato possano
essere concessi privilegi “solo nei casi in cui tali detenuti e
internati collaborino con la giustizia”, sono gli stessi reati per i
quali sulla base dell’articolo 41 bis della stessa legge si finisce al carcere
duro. In altre parole, se hai commesso certi reati e non collabori scordati i
benefici. Non ti impressiona la perdita dei benefici? Sei un caso di emergenza:
articolo 41 bis che fa al caso tuo. Entri nel girone infernale e se qualche
magistrato di sorveglianza dovesse riconoscere qualche tuo diritto e liberarti
del 41 bis finisci in Sardegna. Ti conviene non collaborare e fare ricorsi
contro il 41 bis? Quindi non potendo legalmente passare alle torture fisiche,
titorturano in qualche altro modo e la tortura psicologica c’è tutta, fin nelle
minime cose. Quando improvvisamente ti tolgono il fornellino, te lo fanno
tenere un’ora al giorno, nell’ora che dicono loro e non quando ti serve. Quando
decidono che puoi tenere solo un libro, oppure non puoi leggere trattati di
medicina se sei un medico. Ci sono tante cose, apparentemente piccole cose che
però in quelle condizioni di detenzione in cui non hai niente, sono pesantissime,
magari ti negano la penna per scrivere la lettera. Io ho trovato un detenuto da
anni nelle aree riservate del 41 bis che aveva avuto anche il 14bis (regime di
sorveglianza particolare, quasi che il 41 bis fosse un gioco), per cui aveva il
portellone chiuso. Se voleva fumare doveva bussare per avere le sue sigarette
perché in stanza non gli avevano lasciato niente. Ricevuta la sigaretta gli
chiudevano il portellone. Se voleva accendere la sigaretta doveva ribussare per
avere l’accendino. Una cosa alla volta. Non c’è fretta, tanto devi morire in
carcere. È chiaro che c’è una volontà, che non sono errori, dietro c’è qualcosa
di studiato e voluto. Scientificamente.
Elton Kalica: Perché allora la si
difende così tanto, questa forma di tortura?
Maurizio Turco: Io ho
una mia idea che al di là di tutto il 41 bis deve dare l’impressione che la
mafia è quella, cioè la classe sociale è quella, abbiamo individuato che è
quella. In carcere ci sono sostanzialmente persone modeste, condannate per
reati efferati ma modeste. Insomma non ho trovato banchieri, esperti di finanza
internazionale. Per la verità non ce n’è uno, però ci spiegano che la mafia
vive di finanza e di transazioni internazionali, ma lì non c’è nemmeno un
esperto di quella che dovrebbe essere l’attività principale. Più il 41 bis è
feroce, e riescono a far uscire fuori tutta questa violenza che c’è nei
confronti di queste persone, più dall’altra parte si vede, lo dicono loro, che
le mafie fanno fatturati sempre più alti, si parla di 100 miliardi, cioè cose
incredibili. Insomma qualcuno può spiegarci a che serve il 41 bis? Possibile
che arrestino sempre e solo perdenti e manovali, magari d’alto calibro
criminale ma manovali? Eppure c’è questo 41 bis, c’è sempre più gente in 41
bis: non si capisce dov’è il momento di rottura tra il 41 bis e la sua
efficacia.
Elton Kalica: Con efficacia intende
la collaborazione?
Maurizio Turco: Le
persone che collaborano sono pochissime, sono di solito persone di secondo
piano e quasi sempre il loro pentimento consiste nell’aver sentito da qualcun
altro dei fatti, raramente sono stati protagonisti dei fatti che raccontano.
Chiunque entra, e non è detto che entrino solo persone accusate o condannate
per aver commesso atti feroci o quant’altro, entra anche gente che non è accusata
di essere un capomafia, di aver commesso un delitto, ma è sospettata
dell’obbrobrio giuridico definito “concorso esterno”. Noi abbiamo trovato nel
2001 un ragazzo di 19 anni che era la prima volta che entrava in carcere e che
poi ho rivisto altre volte, e stava sempre li in attesa di un processo. Ma già
quando un tuo primo processo avviene attraverso un televisore e tutti quelli
che ti devono giudicare sanno che l’imputato non è presente in aula ma “è nel
televisore” perché è pericolosissimo, è oggettivamente difficile giudicarlo per
quello di cui è accusato, c’è sempre un pregiudizio. Una volta che sei entrato
nel 41 bis, c’è un pregiudizio nei tuoi confronti. Insomma vige il principio di
colpevolezza, contrario al principio costituzionale di innocenza. Io non ho
avuto ancora casi di persone assolte, perché è difficile conoscerli, e immagino
che se capitasse a qualcuno di finire in 41 bis e poi di essere assolto,
vorrebbe essere dimenticato, ma se uno va a finire in 41 bis e dovesse essere
assolto, non ne esce più comunque, perché è comunque uno che è stato in 41 bis.
Non so se mi spiego sei marchiato a vita. Anche nel circuito carcerario quando
uno esce dal 41 bis, o perché ha finito di scontare quella pena, o perché il
magistrato di Sorveglianza ha deciso che non era più il caso di applicarla, è
comunque uno che è stato in 41 bis, in qualsiasi carcere va a finire, viene
sempre trattato come un ex 41 bis. Poi c’è stato un certo momento in cui i
magistrati di Sorveglianza hanno preso la legge e l’hanno applicata e hanno
quindi disapplicato il 41 bis a molta gente, ma questo è diventato motivo di
scandalo, attenzione: l’applicazione della legge è stato motivo di scandalo.
Questo è il fatto vero. Hanno provato ad avere un magistrato di Sorveglianza
unico a Roma per tutti i 41 bis. È vero che rispetto al passato è più facile
“uscire” dal 41 bis per andare in un regime di alta sicurezza. In compenso,
all’inizio si andava in 41 bis per due anni e i provvedimenti potevano essere
prorogati di un anno alla volta; oggi il primo provvedimento dura 4 anni e può
essere prorogato di 2. Ripeto: è tutto organizzato scientificamente.
Ornella Favero: Molti sostengono,
compreso il Capo del Dap, Giovanni Tamburino, che il regime di 41 bis ha dato
dei risultati notevoli. Cosa ne pensa lei?
Maurizio Turco: La domanda da porre
anche a Tamburino sarebbe: noi vi crediamo, ce li potete illustrare questi
risultati? Non ci potete solo dire che il 41 bis funziona, diteci anche come e
perché. L’obiettivo della legge è quello di far collaborare, quanti detenuti
hanno collaborato? Quanti non hanno collaborato e sono rimasti in 41 bis e qual
è la loro storia processuale? Quanta gente è stata condannata perché l’hanno
messa subito in 41 bis? E quanta nonostante fosse in 41 bis è stata perseguita
per altri reati o assolta? È chiaro che c’è una volontà ben precisa di creare
un circuito che, secondo me, rischia di diventare un po’ alla volta un circuito
ordinario. Sarà sempre più facile dire: costa troppo portare i detenuti in
tribunale, portiamoli in televisione! Io credo che la questione determinante su
questo tema sia quella dell’informazione. Io sono andato una sola volta da
Giuliano Ferrara a parlare di 41 bis, alla fine si è arrabbiato pure lui che mi
aveva invitato, perché la mia domanda al magistrato era sempre la stessa: lei
ha mai visto un detenuto in una sezione 41 bis? Non nel televisore, ma dentro
la cella, come è fatta, quante ore ci sta, come si svolge la vita? Perché
quello è il problema, è la rappresentazione che è diversa dalla realtà. Noi non
riusciremo mai a far capire come si vive in carcere, se il carcere non lo
facciamo vedere e chi deve condannare al carcere lo dovrebbe anche vivere, e
non per tempi brevissimi. Bisogna vederlo, non cinque minuti, il tempo di uno
spot, ma dovresti starci dentro, se non ci stai dentro - anche dall’altra parte
delle sbarre - non lo capisci. Il 41 bis non dovrebbe essere il punto di forza
di una qualsiasi società, perché se abbiamo bisogno del 41 bis, vuol dire che
abbiamo fallito tutto il resto. Cioè, cosa c’è di prevenzione nel 41 bis? Cosa
previene lo Stato con il 41 bis?
Ornella Favero: Quanti detenuti ci
sono ora in 41 bis?
Maurizio Turco: Dai 600 ai 650. Noi
abbiamo iniziato ad occuparci di 41 bis quando ho visto che c’era un problema di
segretezza. Avevo letto negli atti parlamentari della Commissione antimafia che
un deputato aveva chiesto al capo del DAP: dove sono le carceri in cui si
trovano le sezioni del 41 bis? E lui disse che per questioni di sicurezza non
lo poteva dire, si limitò a dire … e comunque non sotto Secondigliano. Andai
con Sergio D’Elia a Secondigliano e ricostruimmo l’intera mappa, poi siamo
andati a vedere tutti i 650, uno per uno, gli abbiamo scritto, ci hanno
risposto, abbiamo fatto questo libro: “Tortura democratica”. Esce il libro e ci
avvisano che c’era un’altra sezione di 41 bis, un’altra sezione con un solo
detenuto a Belluno: Cutolo. Non diciamo niente a nessuno, partiamo. Arriviamo
alla mattina e chiediamo di vedere la sezione del 41 bis, ma nella notte “il
detenuto” era stato trasferito a Novara. Praticamente c’era un’intera sezione,
in cui era tenuto li da solo da dieci anni, non aveva nessuno con cui parlare,
poi io sono andato a Novara, l’ho trovato, io non sono un medico, però era
visibilmente in uno stato fisico e psichico precario, non era in grado di
parlare, perché non era più abituato a parlare, non aveva nessuno con cui
parlare, parlava da solo. Anche questa questione della segretezza che ci deve
essere sul 41 bis, del fatto che non puoi parlare con i detenuti non si spiega,
perché una cosa è parlare dei processi, e lo sappiamo che non si può; però
delle condizioni di detenzione sì. È chiaro che così si creano dei miti, il
mito per cui chi doveva essere preso è stato preso, chi è stato individuato come
il prossimo da prendere, verrà preso e intanto ne cresce un altro. Dopo di che
noi stiamo vedendo semplicemente la parte, come dire, quella più visibile della
criminalità, ma anche quella che è meno istituzionale, perché la mafia delle
istituzioni non la vediamo, non è in carcere la mafia delle istituzioni, quella
non l’abbiamo trovata, né nel 41 bis, né nel carcere ordinario.
Elton kalica: Ci sono situazioni
analoghe in Europa?
Maurizio Turco: Non
abbiamo paragoni possibili con situazioni carcerarie in Europa. Anche in
Spagna, quando ero deputato europeo, sono stato l’unico che ha incontrato i
familiari delle persone detenute nel regime speciale che è riservato ai
terroristi baschi. Sono improvvisamente diventato il nemico: ci sono stati
interventi in parlamento, nei consigli regionali, solo perché li avevo
incontrati e mi ero occupato di ascoltarli. Anche lì è un regime duro, ma non è
il regime italiano: cioè quando c’è la visita, i detenuti stanno insieme con i
familiari. Certamente in una situazione di sicurezza, però possono parlare
tranquillamente, oltretutto ormai ci sono tanti sistemi per controllare, che
non c’è bisogno del vetro. È chiaro che il vetro è un simbolo, è la rottura con
l’esterno, ormai stai da quest’altra parte. Certo la situazione italiana del 41
bis è del tutto particolare. Noi dobbiamo comunque tenere presente anche il
livello di democrazia alla quale abbiamo l’ambizione di tendere. Non possiamo
fare il paragone delle carceri italiane con quelle del Sudan. Il Sudan non ha
le nostre ambizioni democratiche. Se però paragoniamo le loro ambizioni con le
nostre, nell’applicazione delle stesse leggi, noi siamo messi molto peggio di
loro.
Antonio Floris: Io sono in cella con
uno che è stato in 41 bis per due anni e mi diceva che quando doveva
telefonare, la sua famiglia doveva recarsi al carcere più vicino al luogo di
residenza. Entravano all’interno del carcere il giorno e l’ora che venivano
loro indicati e aspettavano che si mettessero in contatto con il carcere
dov’era detenuto il famigliare. Alla fine il mio compagno di cella non
telefonava più, per non arrecare alla famiglia, oltre al tempo perso, il
fastidio delle perquisizioni personali, l’autorizzazione ad entrare e tutte le
altre sofferenze. Ma se le telefonate del 41 bis sono controllate e registrate,
e le possono interrompere quando vogliono, anche se uno chiama a casa, che
bisogno c’è di fare creare queste difficoltà e questi soprusi?
Maurizio Turco: Oltre che essere una
prevaricazione, serve anche per cercare di rompere i rapporti con la famiglia,
nel senso che si continua a perseguitare anche la famiglia. La famiglia che va
a trovare il familiare in 41 bis è già sospettata di connivenza con il sistema,
è gente attenzionata. Ma un figlio cosa deve fare, ripudiare il padre? Questo è
il problema, che c’è un livello di punizione eccessivo anche in rapporto alla
necessità di sicurezza. Ormai il carcere ha perso qualsiasi parvenza di poter
corrispondere ad un qualsiasi criterio di legalità. Di quale legge parliamo?
Forse quella della giungla!
Sandro Calderoni: Ma
come mai non interviene la Corte costituzionale se questa legge va a ledere i
diritti dell’art. 27 della Costituzione? Nel 41 bis non c’è nessun trattamento,
questo come si concilia con la Costituzione?
Maurizio Turco: Nel nome della
sicurezza si può fare di tutto. Questa legge ha passato il vaglio
costituzionale sulla base di particolari problemi di sicurezza, sempre
giustificati. C’è un fatto all’origine del 41 bis, le stragi di Falcone e
Borsellino, e si fece allora quella legge che aveva la durata di sei mesi, poi
di due anni, e poi la stabilizzazione. Si è deciso che alcuni comportamenti se
organizzati, cioè i reati di mafia, camorra e ‘ndrangheta, sono un’emergenza
permanente, e quindi c’è la legge per l’emergenza. La funzione del 41 bis è
“borderline” rispetto alla legge e alla Costituzione. Io credo che il 41 bis
sia una situazione così disperata e disperante che è importante tenere viva
l’attenzione, non dimenticarsi che ci sono detenuti in condizioni in cui è
davvero impossibile viverci, ma soprattutto difendersi. Ci sono anche accuse
dalle quali è impossibile difendersi. Specialmente quando c’è il concorso
esterno in associazione mafiosa. È una cosa di cui non si vuol parlare. Però ci
sono degli studi che ha fatto la DIA: in dieci anni sono state accusate
settemila persone, sono arrivati a processo in 542 e la maggioranza… è stata
assolta! Gli altri si perdono, non hanno neanche il processo. Finiscono sui
giornali, massacrati, e poi finisce la storia, che magari dura anni.
Elton Kalica: C’è un altro
argomento che vorremmo affrontare, ed è quello dell’ergastolo, considerato non
illegittimo perché c’è la liberazione condizionale che lo renderebbe una pena
conforme alla Costituzione. E l’ergastolo ostativo? Anche in questa sede
abbiamo intervistato magistrati e diverse persone autorevoli e competenti, le
quali hanno detto che in Italia l’ergastolo non esiste, perché uno può chiedere
la liberazione condizionale.
Maurizio Turco: Quello che abbiamo
capito, purtroppo, è che volendo la Costituzione può avere delle deroghe,
altrimenti non ci sarebbe l’ergastolo ostativo e il 41 bis non sarebbe mai
potuto diventare legge. E’ una delle tante vergogne anticostituzionali, ma dirò
di più, contraria ai diritti umani fondamentali universalmente riconosciuti.
Elton Kalica: Si può uscire dal 41
bis senza essere pentiti?
Maurizio Turco: Si, solo che alcuni
magistrati di Sorveglianza che hanno disapplicato il 41 bis non hanno avuto
vita facile. Eppure stavano applicando la legge. Tu hai il diritto di chiedere
la disapplicazione del 41 bis, se io ti dimostro che sono qui dentro da cinque
anni e non ho mai visto nessuno e non c’è nessun procedimento a mio carico e
non c’è niente. Come fai a dire che continuo a mantenere i contatti con
l’esterno? Purtroppo chi ha applicato la legge si è spesso ritrovato spodestato
del suo potere, tanto è vero che ora a decidere è solo la magistratura di
Sorveglianza di Roma, perché vogliono che ci sia una uniformità di giudizio.
Anche lì, la scusa è che ci vuole la specializzazione, perché il circuito è
speciale: i magistrati devono essere speciali, gli agenti devono essere
speciali, cioè è un sistema specializzato e militarizzato. Io questo vorrei
cercare di far capire, il problema non è la legge, è l’applicazione, o la
disapplicazione, è il tuo diritto negato, che tu non hai modo di far valere.
Ecco perché trovo ancora più grave che, al di là della legge scritta, ci sia la
legge applicata, perché il 41 bis sulla carta non è il 41 bis della cella. Sono
due cose diverse, se tu leggi la normativa sul 41 bis, vedi che nella realtà ci
sono maggiori privazioni, il vetro divisorio ai colloqui non c’è scritto, il
vetro divisorio l’ha deciso il DAP, con quali poteri? Il DAP non è una
istituzione legislativa, eppure ha il potere di farlo, nel senso che lo fanno e
non succede niente. I magistrati di Sorveglianza, perché sono pochissimi i
magistrati di Sorveglianza?
Perché non devono sorvegliare, perché se
sorvegliassero e se dovessero applicare la legge e avessero la possibilità di
farlo in tempi rapidi, persona per persona, salterebbe tutto il sistema. Quindi
debbono essere pochi e debbono avere tanto da fare. La critica più dura ai regimi
speciali noi la sentiamo fare dai magistrati di Sorveglianza, io ho sentito
dire da un magistrato di Sorveglianza di Palermo cose pazzesche, cioè quelle
che ci stiamo dicendo noi qui. Quindi la prima cosa da fare è quella di
applicare l’articolo 41 bis. Se lo si applicasse forse resterebbero in carcere
50 persone e non potrebbero restarci per tutto il tempo in cui restano. La
seconda cosa è far capire che se uno esce dal 41 bis, non va comunque a fare
una passeggiata, non va a casa, è comunque in galera, altamente sorvegliato. E
va fatto capire che nella grande maggioranza dei casi non uscirà mai. E quindi
porre la questione dei reati ostativi.
Bruno Turci: Ci sono stati casi
di detenuti in 41 bis che si sono rivolti alla Corte di Strasburgo?
Maurizio Turco: Per fare un esempio,
la questione del vetro durante i colloqui è stata portata a Strasburgo, che
l’ha considerata unadelle facoltà legittime di uno Stato quando ci sono
questioni di sicurezza. C’è il mito della sicurezza, il problema è solo questo.
Nel nome della sicurezza puoi fare tutto. Anche inventarti il 41 bis.
Bruno Turci: È proprio una
strategia, quindi credo sia impossibile che a breve si riesca a sconvolgere il
sistema penale e ad arrivare all’abrogazione del 41 bis, però almeno bisogna cominciare
a prendere di mira quelle cose che in modo troppo evidente non vanno. Ad
esempio qual è il criterio per applicarlo, a chi va applicato, se si riuscisse
a spingere su una verifica della sua applicazione, probabilmente ad una buona
parte verrebbe tolto.
Maurizio Turco: Io continuo a
credere che il 41 bis è un simbolo, per poter dire: noi abbiamo il 41 bis. Ma è
un simbolo, perché poi il potere politico non è più quello che conosciamo,
ormai la globalizzazione dei mercati fa entrare in gioco delle forze oscure:
per fare un esempio, si spostano milioni di euro in Tanzania con una facilità
estrema e nessuno se ne accorge? E’ una roba da pazzi. Com’è possibile? Poi vai
in banca e versi a qualcuno più di 2.000 euro e registrano a chi li hai dati.
Il 41 bis è l’esempio di questi assurdi, perché se poi vai a vedere quelli che
sono al 41 bis, molti di loro - l’ho già detto – non solo non sono in grado di
fare una transazione finanziaria internazionale, ma non sanno nemmeno di cosa
stiamo parlando. Cioè non sono quelli del denaro sporco delle mafie e la
maggior parte, credo, nemmeno i loro manovali. Io però continuo a credere che
per cambiare qualcosa o puntiamo alto, e quindi partiamo con l’amnistia, oppure
è tutto più difficile. È più facile raggiungere un grande obiettivo che non
ottenere un qualcosina. Purtroppo l’amnistia molti la vedono come punto
d’arrivo, invece l’amnistia è un punto di partenza: o partiamo da li per
riformare davvero la Giustizia nel suo complesso, o non si va da nessuna parte
perché senza legalità non si va da nessuna parte, nelle carceri e nella
società. Io non sopporto che nei confronti di una persona di
cui abbiamo la certezza assoluta che abbia commesso le più atroci
efferatezze uno Stato che si dice democratico si comporti con la
stessa atroce efferatezza. E quindi lotto perché la Repubblica
italiana rispetti i principi (traditi) sui quali è stata fondata e il dovere di
rispettare i diritti umani fondamentali.