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2009 02 06 * Left * I segreti dello IOR * Federico Tulli 

Laicità sotto scacco e potere finanziario. Nemmeno il Concordato di Craxi ha scalfito l’ingerenza della Chiesa romana nella vita degli italiani. Il deputato radicale del Pd Maurizio Turco solleva il caso dell’Istituto per le opere di religione.

«La religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato». È l’11 febbraio del 1929 quando Mussolini e Pio XI siglano i Patti lateranensi tra lo Stato italiano e la Santa sede. Nasce la Città del Vaticano e al pontefice vengono attribuiti i poteri di un sovrano. Quelle poche parole dell’articolo 1, a 59 anni dalla Breccia di Porta Pia, legano Stato e Chiesa in un vincolo quasi indissolubile: una secca frase che riesuma un principio dello Statuto albertino che rimarrà saldo anche dopo la caduta del fascismo e il varo della Costituzione del ’48. È infatti solo il 18 febbraio 1984 che l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi sigla il nuovo concordato con il Vaticano, abrogando quello dell’Italia fascista e con esso lo sciagurato comma. Una firma che secondo il deputato radicale del Partito democratico Maurizio Turco arrivò con 36 anni di ritardo: «In pratica – spiega Turco a left – il carattere di laicità dello Stato stabilito all’articolo 8 della Carta risulterà violato fino al nuovo Concordato».

Onorevole Turco, Craxi che abroga i Patti lateranensi merita un giudizio positivo?

Non direi. Il Concordato dell’84 ha cambiato ben poco poiché persiste il problema costituzionale rappresentato dall’articolo 7, che consente a una confessione religiosa, quella cattolica, di essere trattata in maniera diversa dalle altre.

Tutto questo in che termini lo pagano gli italiani?

Diritti civili a parte, lo pagano anzitutto in denaro contante. La questione economica preme alla Santa sede al pari di quella religiosa, visto che l’obiettivo è creare un impero. Con a capo un monarca assoluto dotato di poteri come nessun dittatore al mondo: solo il papa in qualsiasi momento può interrompere un processo e stabilire lui la sentenza. E con un’organizzazione  – che per il potere che va acquisendo sempre più sembra oggi essere Comunione e liberazione – che si occupa della gestione del denaro e delle altre ricchezze.

Di che cifre stiamo parlando? 

Impossibile saperlo con precisione. Oltre agli introiti dell’otto per mille, tutto ruota intorno allo Ior, l’Istituto per le opere di religione, che è rigorosamente protetto dall’articolo 11 del Concordato laddove dice che «gli enti centrali della Chiesa cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano».

Ma lo Ior è una banca. Non dovrebbe essere vincolato a specifiche leggi internazionali?

Sì, certo, è una banca. Ma, nel corso del processo a Marcinkus per lo scandalo del Banco ambrosiano, il Vaticano dichiarò che la sua attività è strumentale per il perseguimento dei fini religiosi.

Significa che non ci dobbiamo impicciare?

Esattamente. Le faccio un esempio per capire fino a che punto non dobbiamo sapere. Durante il processo “Gea”, quello ai procuratori dei calciatori, a un certo punto è emerso un conto allo Ior. Ma non si è potuto approfondire né l’entità, né la provenienza del denaro perché quando c’è lo Ior di mezzo ormai i magistrati non chiedono più nemmeno le rogatorie.

Come mai?

Perché è inutile: sanno già quale sarà la risposta e la motivazione del rifiuto.

Per via dell’articolo 11?

Appunto. Ma, se possibile, c’è un fatto ancora più grave che riguarda questo comma.

Ci spieghi meglio…

L’Italia ha ricevuto dall’Unione europea il mandato di trattare le questioni finanziarie col Vaticano a nome di Bruxelles. Questo significa che in base al Concordato noi consentiamo a questo Stato di essere “indirettamente” nel sistema finanziario europeo dei pagamenti intracomunitari, senza che però il suo principale istituto bancario sia soggetto ad alcun controllo. Inoltre, il Vaticano fa parte di tutte le organizzazioni internazionali che si battono contro il riciclaggio e per la trasparenza bancaria. Dunque questi sanno tutto ciò che fanno gli altri, senza alcun obbligo di dichiarare cosa fanno loro.

Da quello che dice, lo Ior non dovrebbe aver problemi di concorrenza…

Il vincolo dell’articolo 11 ce lo lascia solo immaginare. Anche se ogni tanto qualcosa trapela. Clamorosa fu la nostra casuale scoperta di tre anni fa (vedi left n. 32-33/2008, ndr) quando nel bilancio dei medici cattolici giapponesi pubblicato online trovammo riferimenti a una convenzione con lo Ior per un conto corrente che dava il 12 per cento di interessi. Se fosse un prestito potremmo chiamarla usura, trattandosi di un tasso attivo, come possiamo definirla: corruzione?