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2002 11 01 * Il Foglio - "CARCERE / Appello per un killer della Stidda di Gela. Ha un cancro terminale, mandatelo a casa", di Sergio D'Elia e Maurizio Turco*

Signor direttore - Ci scusi se la useremo per far sapere pubblicamente al ministro della Giustizia quel che sta accadendo - forse è ormai già irrimediabilmente accaduto - ad Antonio Paolello, detenuto in 41 bis ad Ascoli fino a venti giorni fa, ricoverato poi nell'ospedale della stessa città e ora trasferito nel carcere di Pisa. 

Antonio Paolello, quarant'anni, non è stato certamente quel che si dice un bravo ragazzo. Ritenuto un pericoloso killer della Stidda di Gela e condannato per questo a due ergastoli, l'ultima volta che ha fatto parlare di sé è stato tre anni fa, quando progettò un'evasione dal carcere e tentò di comunicare al nipote i dettagli del piano (fallito, ma che prevedeva l'uso di un autoblindo e di kalashnikov) attraverso gesti in codice, durante un colloquio. Ma oggi Antonio Paolello non sembra più in grado di uccidere, pianificare evasioni e forse nemmeno reggersi in piedi per andare a fare un colloquio con la sorella Luisa. Una ventina di giorni fa era stato trasportato d'urgenza in ospedale per un blocco intestinale. E' arrivato in gravi condizioni, lo hanno aperto, hanno sospettato qualcosa, hanno fatto una biopsia, hanno scoperto un tumore maligno che oltre all'intestino era già diffuso allo stomaco e al fegato. Hanno deciso che non ci fosse da fare altro che richiudere.
Nel nostro giro cella a cella nelle sezioni del carcere duro, quest'estate, avevamo incontrato anche lui. "Dovete dirmi se per essere curato, mi devo pentire", ci aveva detto. Si sentiva male già dalla primavera scorsa, aveva dolori allo stomaco, vomitava, ma nel carcere di Ascoli lo curavano per una gastrite. Aveva chiesto di essere sottoposto a esami più accurati, ma niente. In carcere, non si considera mai la possibilità di un male incurabile, si sospetta sempre che un detenuto simuli. E se per fare una visita specialistica in un carcere "normale" un detenuto deve aspettare mesi, uno assegnato al "carcere duro" può aspettare anni.
Quello di Paolello non è un caso isolato. Nel nostro giro abbiamo potuto riscontrare non pochi casi di detenuti infartuati, colpiti da ictus, malati di cancro, paralizzati o costretti sulla sedia a rotelle. Molti ci hanno parlato di quelli che sono morti in 41 bis: in una cella o in ospedale o a casa dove erano stati mandati a finire i pochissimi giorni rimasti della loro vita. Chissà quanti potevano essere salvati se il loro male fosse stato preso in tempo o se fossero stati curati adeguatamente. Ma la cura di questi detenuti è stata sempre un optional, affidata al buon cuore di operatori penitenziari, spesso degli stessi agenti di custodia, non certo alla presenza di un vero presidio sanitario. La salute in 41 bis è anche arma di ricatto. Sulla costituzionalità o meno di un regime penitenziario come il 41 bis si può anche discutere, ma su come viene applicato in concreto ai detenuti, sul mancato rispetto dei loro diritti umani non si discute. E' intollerabile e indegno di un paese civile che da questo regime si possa uscire solo tramite il pentimento oppure - come si dice - coi piedi davanti.

"Bastava una radiografia fatta in tempo" 
Vorremmo davvero essere smentiti almeno nel caso di Antonio Paolello. Attendiamo riscontri del senso di umanità che lo Stato vorrà dimostrare nei confronti di un detenuto in fin di vita, in tali condizioni ridotto dalla stessa amministrazione penitenziaria.
"Bastava fare a suo tempo una semplice radiografia per prendere il male in anticipo", ha denunciato Luisa Paolello la quale aveva chiesto che il fratello venisse ricoverato subito in un ospedale attrezzato per la cura dei tumori. Invece, dopo due settimane di ospedale ad Ascoli, Antonio Paolello è stato trasferito nel carcere di Pisa. "E' stato buttato in una cella del centro clinico", ha detto la sorella del detenuto che era andata a trovarlo il 28 ottobre, "e non me lo hanno fatto nemmeno vedere". Solo martedì sera, con una speciale concessione, c'è stato un incontro fra il malato e le sorelle.
Abbiamo paura che il detenuto sia stato mandato a Pisa perché non c'è più nulla da fare. Se così è, se nessuna cura è possibile, lo si consegni almeno all'affetto dei suoi cari per i giorni che gli sono rimasti. Se qualcosa è invece ancora possibile fare nei confronti del detenuto che il carcere curava di gastrite e che invece aveva il cancro, lo si ricoveri in un centro attrezzato. La legge, anche quella dura del 41 bis lo consente. Non fare nulla, significherebbe certificare che la vita di uno "stiddaro", omicida ed ergastolano, non vale nulla.

Sergio D'Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino, e Maurizio Turco, presidente dei deputati radicali al Parlamento europeo ci hanno inviato questa lettera sul caso di un detenuto sottoposto al regime di carcere duro previsto dall'articolo 41 bis dell'Ordinamento penitenziario, Antonio Paolello. La rendiamo pubblica, come da loro richiesto.