relazione di Maurizio Turco
responsabile
legale e vice Presidente vicario del Senato del Partito radicale
Nonostante le
difficoltà siamo nuovamente a Congresso dopo nove anni dal doppio appuntamento
di Ginevra e Tirana del 2002.
Già il fatto
di essere oggi qui è un piccolo successo di una vicenda, quella del Partito
radicale e di Marco Pannella in particolare, che ha attraversato il secolo
scorso, in parte attraverso la vita di chi prima di noi ha tracciato e tenuto
vivo il senso dello Stato, democratico e di diritto, cioè dello Stato liberale
e in parte da chi quelle lotte ha portato avanti ed arricchito di nuove idee.
E lo ha
tenuto vivo combattendo contro il protezionismo, il totalitarismo - sia quello
nazi fascista che quello comunista -, il nazionalismo, il clericalismo, il
proibizionismo. Combattendo cioè battaglie liberali, democratiche, federaliste,
per la libertà di pensiero coscienza e religione, antiproibizioniste. E
combattendole nei momenti più difficili, cioè i momenti in cui sono necessarie.
Risulta quasi
impossibile compitare quello di cui siamo stati capaci. Le lotte che abbiamo
animato. Le idee che abbiamo fatto vivere e quelle che abbiamo elaborato.
Il nostro più
grande patrimonio sono storia ed idee di chi è venuto prima di noi, di chi
offrendocele le ha arricchite e attualizzate, di chi continua a farle vivere
nelle lotte.
Come ho già
avuto modo di dire, io credo che la storia di Ernesto Rossi ed Altiero Spinelli
sia esemplificativa di una ricerca radicale della libertà.
Ed è la
storia di due confinati dal fascismo su di una piccola isola del mare tirreno
che, nel 1941, comprendono che è il nazionalismo a produrre guerre e miserie.
Nazionalismo al quale si deve opporre una visione federalista, cioè
antinazionalista. Nel 1941, con mezzi di fortuna, Ernesto Rossi ed Altiero
Spinelli, riescono a fare uscire dall’isola di Ventotene lo scritto che aveva
per titolo “per un’Europa libera e unita” mentre l’Europa era divisa e nel
pieno di una guerra e Rossi e Spinelli avevano oggettivamente poche possibilità
di uscirne vivi.
E’ un
esempio. L’esempio di uomini che riescono a vedere oltre e a non ridurre le
loro visioni a delle semplici vedute.
Dovrei fare
un lungo elenco di quanti in questi anni hanno dato corpo alla visione liberale,
democratica, dei diritti umani e civili universali, cioè per tutti ed ovunque,
insomma alla visione radicale.
Ma ne vorrei
ricordare due in particolare. Tra gli ultimi che abbiamo conosciuto, con i
quali ci siamo riconosciuti e ritrovati nel Partito radicale e che pur
desiderosi di farlo non potranno raggiungerci.
Il primo è Biram Dah Abeid, leader del movimento contro la schiavitù della Mauritania, che aveva già partecipato al Consiglio generale di Barcellona. Oggi Biram non può essere qui perché si trova in un carcere mauritano, in attesa del processo di appello dopo aver subito una condanna ad un anno di carcere per avere ancora una volta manifestato contro la riduzione in schiavitù, questa volta di due ragazze. E pochi giorni dopo il suo arresto Marco Pannella, con Matteo Mecacci e Marco Perduca sono stati per quattro giorni in Mauritania fino a quando non sono riusciti ad incontrare Biram nella sua cella.
La seconda persona che aveva deciso di essere qui con noi è David Kato Kisule che, nel mese di novembre, era con Marco Pannella e Sergio Rovasio in una conferenza stampa alla Camera dei deputati e poi al congresso dell’associazione “certi diritti” per far conoscere le lotte, sue e dei suoi compagni, contro le discriminazioni sessuali in Uganda. La sua foto e quella di altri 99 militanti campeggiavano su un giornale di evangelici che ne chiedevano l’arresto. Kato è stato giustiziato a martellate nella sua casa a Kampala il 26 gennaio del 2011.
E’ qui, nel
Partito radicale, che si sono intrecciate e continuano ad intrecciarsi storie
di persone che non hanno mai dismesso nei periodi più bui della storia, negli
angoli più remoti del pianeta, sotto i regimi più sanguinari, di lottare per la
libertà.
In questi
nove anni abbiamo continuato nello stesso tempo a seminare nuove idee e a
preservare la possibilità di avere un luogo, questo, il luogo “Partito
radicale” per protrarre nel tempo la durata del nostro essere, cioè di
continuare ad organizzare lotte. Le lotte di Biram, di Kato e delle tante e dei
tanti che sono qui o che avrebbero voluto esserci ma non hanno potuto.
Anche se in
carenza di mezzi, di cui parlerò dopo, sono stati gli anni delle iniziative
nonviolente di Marco Pannella, alla fine del 2006 contro l’esecuzione di Saddam
Hussein e poi, alla fine del 2010, contro l’esecuzione di Tarek Aziz,
esecuzione che è a tutt’oggi sospesa.
O la
manifestazione nel 2007 a l’Avana per la libertà del popolo cubano con la
nonviolenza e per la libertà dei dissidenti politici.
O ancora la
campagna Irak libero animata da Marco
Pannella sin dal 2003 e tuttora in corso e sulla quale relazionerà Matteo
Angioli. Iniziativa con la quale si documenta come si sia fatto di tutto per
impedire a Saddam Hussein di andare in esilio, esilio che avrebbe impedito di
fare la guerra in Iraq, obiettivo non dichiarato di Bush e di Blair e
Berlusconi. Tant’è che la falsa documentazione sulle armi di distruzione di
massa, che hanno dato origine alla dichiarazione di guerra, erano state
gentilmente messe a disposizione dai servizi segreti italiani. Il vasto lavoro
di documentazione che si è fatto dimostra come finanche l’atto di dichiarare la
guerra è sottratto alla potestà dei parlamenti ed è dimostrato che possono
invece farlo tre capi di stato fuori da qualsiasi controllo democratico. Ed è
sotto gli occhi di tutti come su questi fatti documentati ci sia un silenzio
assordante. Quasi a voler preservare a tutti i costi la possibilità di ripetere
quanto già accaduto.
E poi le
varie iniziative di Emma Bonino e Non c’è
Pace Senza Giustizia contro le mutilazioni genitali femminili e per il
rispetto dei diritti umani e civili; quelle di Sergio D’Elia ed Elisabetta
Zamparutti con Nessuno Tocchi Caino per la moratoria universale della pena di morte con numerose missioni in
Africa; e di Marco Cappato con l’associazione
Luca Coscioni e il congresso per la libertà di ricerca. E ci aggiungerei
anche l’elezione di Matteo Mecacci prima a relatore dell’assemblea parlamentare
dell’OSCE sui diritti umani e poi a
Presidente del Gruppo liberale. O ancora le tre riunioni del Consiglio generale
tenute nel 2010 su impulso di Marco Pannella finalizzate alla tenuta di questo
appuntamento.
Per fare tutto questo e per consentire di continuare a farlo abbiamo dovuto innanzitutto difendere e preservare il serbatoio italiano, cioè quell’insediamento che consente al Partito di avere una speranza di vita. Abbiamo dovuto farlo se volevamo ritrovarci e rilanciare le nostre lotte, tra le quali e tra le prime vi è la lotta per far conoscere e far vivere le nostre idee.
Abbiamo
dovuto resistere in questi anni in un contesto di democrazia reale in cui - a
differenza dei contesti ademocratici o antidemocratici - l’illusione, se non
altro nominalistica, di essere in democrazia rende difficile la nascita,
crescita e sviluppo di anticorpi democratici.
Il fatto
d’essere lo Stato italiano una democrazia reale non è un nostro punto di vista
e non lo è solo politico. La democrazia reale italiana, il regime non
democratico italiano è un dato di fatto, una realtà che da oltre trenta anni
non solo è osservata ma direi vivisezionata dalla Corte europea dei Diritti
dell’Uomo attraverso condanne dell’Italia per violazione delle norme
internazionali sulla giustizia e che - a causa di queste violazioni - da venti
anni il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa continua a denunciare che
in Italia lo stato di diritto è in pericolo.
Non ci vuole
molto per capire - per chi ha il privilegio di conoscere questi fatti, che sono
fatti da tenere ben lontani dalla conoscenza della pubblica opinione – che anno
dopo anno, fino a venti anni di incessante, continuo logoramento dello stato di
diritto di democratico resta ben poco. Solo la miopia della burocrazia impone,
senza vergogna, che si possa parlare per vent’anni ininterrotti di un paese che
continua a mettere in pericolo lo stato di diritto senza che questo Stato il
diritto abbia finito per non sapere più cos’è. E senza che le istituzioni
internazionali, a cominciare da quelle europee, prendano seri provvedimenti nei
confronti dell’Italia per la violazione di norme internazionali sancite da
convenzioni e trattati internazionali.
Non
dev’essere un caso se quasi tutti i regimi totalitari abusavano del termine
“democratico” …. ed anche di quello “popolare”, ma non parlavano certo la
lingua della democrazia né quella del popolo, nel qual caso sarebbero stati
liberali.
In questa
situazione siamo riusciti a reggere di fronte alle cose più impensabili.
Tra le ultime
sono riusciti a farci fuori dal parlamento europeo. Per la prima volta dal 1979
non abbiamo un deputato radicale al parlamento europeo.
Abbiamo
dovuto fare a fronte anche a questo. Continuando a fare delle costosissime
lotte in presenza di un regime che ci vede come i soli oppositori e che per
questo devono essere silenziati, nascosti, non essere conosciuti perché i
cittadini potrebbe riconoscersi in noi. E’ già accaduto. Politicamente ed
elettoralmente. Tutti i sondaggi ci dicono che la gente sui tempi che hanno a
che fare con le libertà personali e la libertà di scelta la pensano come noi,
ma a loro è impedito di incontrarci per combattere insieme a noi quelle lotte.
Qualche volta è accaduto che riuscissimo a raggiungerli ed abbiamo ottenuto
successi politici ed elettorali.
Chiedo scusa
se ho voluto approfondire questo aspetto ma a volte capita che siamo così
assuefatti da quello che ci circonda che rischiamo di ritrovarci immersi in
un’altra realtà e che non riusciamo a vedere.
E credo anche
che l’Italia sia uno splendido esempio di democrazia reale ma non certo il
solo.
Dobbiamo
recuperare le storie di chi questa nostra storia ha scritto. Come non pensare e
ringraziare quei mille, millecinquecento italiani che continuano ad iscriversi
al Partito radicale nonostante tutte le avversità possibili ed immaginabili.
Che continuano a consentire a questo partito di esistere, cioè a far fronte a
quello che - direi quotidianamente - rischia di travolgerci definitivamente, se
non altro nella nostra dimensione organizzata.
Io credo
davvero che siamo vivi per miracolo. E che l’essere oggi qui sia un miracolo.
Laico, naturalmente. Miracolo che è stato reso possibile innanzitutto grazie
alla caparbietà e l’insistenza di Pannella.
E comunque
questo è un Congresso che deve fare i conti con diverse assenze di particolare
importanza per noi. Per esempio, dei nostri 24 parlamentari cambogiani, oggi
qui non ce n’è neanche uno. Chi per una riunione New York, chi altrove
impegnato. E così per la vasta comunità tibetana, per diversi amici africani e
quant’altri. Ed è così anche per Cesare Romano che è da qualche parte dell’America
latina ad attivare giurisdizioni per la difesa dei diritti umani, con il quale
speriamo di riuscire a stabilire un contatto audio video.
Nonostante
queste ulteriori difficoltà, ma molto importanti, dobbiamo in questi quattro
giorni riflettere sul Partito, sulle nuove realtà presenti nel Partito e nella
società, su come organizzarle, su come essere presenti laddove è necessario.
Quando
abbiamo cominciato a pensare a dove organizzare questo Congresso avevamo
pensato al Marocco. Non certo perché prevedevamo che ci saremmo trovati nel nel
mezzo delle rivolte che sono partite dalla Tunisia. Prevedevamo però che la
sponda sud del mediterraneo sarebbe esplosa se non fosse arrivata l’Europa. Non
certo quella dell’Unione europea, delle patrie nazionali e dei protezionismi.
Ma l’Europa degli Stati Uniti d’Europa degli Ernesto Rossi e degli Altiero
Spinelli, un’Europa federalista, antinazionalista.
Tant’è che
l’Unione europea in Tunisia, in Algeria e in Egitto non è arrivata né prima, né
durante e nemmeno dopo . Così come non è arrivata né in Palestina né in
Israele; né in Afghanistan, né in Iran, né in Turchia. Non è arrivata nel Sud
est asiatico e nemmeno in Africa.
E c’è una
ragione. Una delle migliori rappresentazioni di questa Europa le ho ritrovate
in un appassionato intervento che tenne al Parlamento europeo nel 2002 l’allora
presidente del Perù, Alejandro Toledo.
Tra le altre cose Toledo disse: “(…) Sono venuto a chiedere ai miei amici europei: per favore, non vendeteci armi. Vi chiedo, per favore, di non venderci aerei, navi né carri armati. … Per il 2002 ho deciso di ridurre del 20% le spese militari per destinare il ricavato alla salute e all’istruzione dei poveri del Perù. … So che siete tolleranti e mi capirete. Non regalateci latte. Non regalateci i vostri prodotti agricoli, per favore… perché se ci regalate latte, se ci regalate grano, ciò rappresenta una concorrenza sleale per gli agricoltori peruviani. (…) Fate quello che chiedete di fare a noi: apriteci i vostri mercati. Ci dite che dobbiamo praticare un’economia aperta, e io sono d’accordo. Ci dite che non dobbiamo dare sussidi all’agricoltura, e io sono d’accordo. Ma allora non date neppure voi sussidi all’agricoltura, aprite i vostri mercati.“
Questo è il contesto. In questo contesto noi abbiamo innanzitutto il compito di mettere in circolazione le idee universalistiche dei diritti umani e civili, sociali e politici, della democrazia, del diritto, dello stato liberale, cioè antiproibizionista e antiprotezionista, dell’organizzazione federalista ed antinazionalista, da conquistare con lotte all’insegna del metodo nonviolento.
* * * * * * *
Così come per
lo sviluppo di un paese, inteso come sviluppo e crescita del suo popolo, anche
per costruire il partito è necessario poter disporre di adeguate risorse umane
e finanziarie, finanziarie ed umane. Dall’agosto del 2005 a seguito delle
dimissioni del Tesoriere, il Senato del Partito mi ha conferito la
responsabilità di rappresentante legale del partito.
Di questa
responsabilità sono qui a rispondere. Lo farò sintetizzando al massimo quello
che è contenuto nel documento in distribuzione che contiene il dettaglio dei
bilanci del Partito radicale dal 2006 ad oggi nonché le sintesi delle
situazioni economiche di diversi soggetti dell’area radicale.
In sintesi :
·
nel 2004 avevamo raccolto da quote di iscrizione
individuali 1.143.000 euro e speso 2.241.000 euro.
·
nel 2010 abbiamo raccolto 577.000 euro raccolto
da quote di iscrizione individuali e speso 1.201.000 euro.
Inoltre, al
31 dicembre 2005, a seguito di una approfondita revisione, abbiamo registrato
un debito consolidato di 2.478.000 euro a cui andrebbero aggiunti 1.402.000
euro di crediti inesigibili verso soggetti politici dell’area radicale.
Seguendo questo criterio oggi il debito consolidato sarebbe di poco meno di
100mila euro ma, a seguito della cancellazione del credito inesigibile, il
debito ammonta a 1.370.000 euro.
Siamo sinora
riusciti a far fronte alle spese e a ripianare 2,5 milioni tra debiti pregressi
e disavanzi annuali grazie ai contributi della Lista Pannella che, in questo, ha
sostanzialmente impegnato la totalità delle proprie entrate. Nel contempo ho
ceduto alla Lista Pannella i diritti relativi a simboli elettorali nella
disponibilità del Partito essendo peraltro, in base allo statuto,
inutilizzabili dal Partito in quanto tale.
Ne risulta
che in sei anni abbiamo dimezzato le spese di struttura e di personale che
comunque rappresentano il doppio
delle entrate e - visto che si sono dimezzate anche le entrate da
autofinanziamento e che la Lista Pannella non ha più la possibilità di
contribuire - è indispensabile perseguire una ulteriore politica di riduzione
delle spese di struttura e personale.
Parallelamente
dobbiamo concentrarci sull’autofinanziamento. In Italia e non solo. Dicevo di
quei più o meno 1.300 cittadini italiani che, ripeto: nonostante tutto,
continuano a finanziare il Partito radicale. Di questi quasi la metà è iscritto
“a pacchetto” definizione che utilizziamo per indicare coloro che si iscrivono
a tutti i soggetti radicali versando almeno 590 euro l’anno. Un terzo sono
donne. Metà di essi ha tra i 40 e i 60 anni. Oltre il 10% ha più di 70 anni.
Questo, al
momento, è il nostro patrimonio.
Ma, prima di
concludere, vorrei fare alcune annotazioni d’ordine generale sul finanziamento
della politica in senso lato.
Il partito,
questo partito, il partito delle lotte radicali nonviolente nel 2010 è costato
1,2 milioni di euro. Che è più o meno quanto hanno ricevuto nello stesso
periodo dall’Unione europea il Partito Liberale europeo e il Partito Verde
europeo. Per non dire degli oltre 3 milioni di euro per il Partito socialista
europeo e dei circa 5 milioni di euro per il Partito popolare europeo. Cifre
che si aggiungono ai finanziamenti nazionali dei singoli partiti e al fatto che
questi partiti europei hanno quasi tutti sede a Bruxelles dove i gruppi al
Parlamento europeo, che fanno riferimento ai partiti politici europei,
dispongono di sedi, strumenti, servizi e ulteriori finanziamenti.
Ma non
finisce qui perché ciascun Partito europeo, a cui fa riferimento un gruppo
parlamentare europeo, se ha una fondazione affiliata, il Parlamento europeo la
finanzia. Ad esempio la Fondazione “centro per gli Studi europei” affiliata al
Partito popolare europeo ha ricevuto 3milioni e 200 mila euro e la “Fondazione
per gli studi progressisti europei” affiliata al Partito socialista europeo
2milioni e 150mila euro.
* * * * * * *
Voglio
concludere questa relazione con quella che per noi liberali, federalisti,
democratici, nonviolenti, cioè per noi radicali, è una insopprimibile necessità
e che è la stessa conclusione del Manifesto di Ventotene di Ernesto Rossi e
Altiero Spinelli: la via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere
percorsa e lo sarà.
Noi siamo
qui, in questi giorni, per rinnovare ancora una volta questo impegno.