Caro Curzio Maltese,
ieri su Repubblica, il tuo giornale, la sesta puntata dell’inchiesta sui «Soldi del Vescovo» (italiano) consisteva in una bella intervista con padre Caesar Atuire, ghanese, amministratore di quell’Opera romana pellegrinaggi (Orp) a cui avevi dedicato gran parte della quinta puntata, lo scorso 10 novembre. È stata l’occasione per correggere almeno alcune delle molte informazioni errate, come quella di Luciano Moggi testimonial della Chiesa sul volo dell’Orp per Lourdes in compagnia del cardinal Ruini o le tasse non pagate dall’Orp, che invece le paga tutte. Bene. Sarebbe stato più logico sentire l’Orp prima di parlarne, ma meglio dopo che mai.
A proposito, a quando un reportage dall’Abbazia di Chiaravalle, alle porte di Milano, dove i lettori di Repubblica sono tuttora convinti che ci sia un albergo a cinque stelle – esente Ici – a 300 euro a notte? L’intervista, in positivo, dà finalmente la parola a uno dei tanti che sono stati ingiustamente messi sulla graticola della tua inchiesta e che ti hanno in qualche modo già risposto tramite noi. Dal canto suo, padre Atuire, di fronte al tuo silenzio, dapprima si sarà stupito, poi cristianamente avrà fatto, dopo il primo passo, pure il secondo venendoti a cercare di persona, visto che non lo facevi tu. Eppure, nel tuo articolo di ieri, tu lamenti una «campagna d’insulti» da parte diAvvenire e la mancanza di qualsiasi «richiesta di un dialogo per chiarire il proprio punto di vista».
Perbacco, a ogni puntata di Repubblica, Avvenire ha risposto con una pagina non di insulti – il primo insulto di cui possiamo renderci colpevoli è quello contro la verità – ma di cifre, informazioni omesse e fatti dimenticati, oltre che di smentite di notizie false. Era un invito a rispondere a vostra volta e a dialogare; che però Repubblica – dispiace dirlo – puntualmente ignorava, affermando in più occasioni per voce tua, del tuo direttore Ezio Mauro e di tuoi colleghi (Corrado Augias nella sua rubrica e Concita De Gregorio durante la conduzione di Primapagina su Radio 3) che non erano mai giunte smentite.
E le nostre cos’erano? Strano che un giornale moderno come Repubblica consideri repliche degne del suo lavoro solo le letterine al direttore in cui umilmente si chiede di poter chiarire qualcosa (quello che ci sta nello spazio di legge delle 30 righe), e che il signor direttore si riserva comunque di pubblicare, magari con una controreplica al curaro. Siamo – è vero – una società ingessata, ma non quel tanto da impedirci di dialogare stando sullo stesso piano. O no? È comprensibile peraltro che ognuno difenda il proprio lavoro, perfino nelle parti non difendibili.
Ma non con il silenzio che si dà ragione. Non ignorando – cinque volte su cinque – l’interlocutore. Che poi a fare del vittimismo sia una corazzata come la tua, per le punzecchiature di una silurante come la nostra, fa sorridere. Caro Maltese, il dialogo non lo si fa solo con quelli che ci piacciono. Per questo non ci stancheremo di aspettare una risposta congrua alle nostre controdeduzioni dal 29 settembre in poi. Tutti, noi di Avvenire ma specialmente i lettori di Repubblica.