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2007 11 08 * L'Avvenire * Il punto Ici & Chiesa: ecco quello che bisogna sapere * Patrizia Clementi

Nelle ultime settimane il quotidiano "Repubblica" e ora persino alcune fazioni politiche hanno trattato la questione dell’esenzione dell’Ici che spetta anche agli enti ecclesiastici, spesso per denunciare “l’ingiusto privilegio concesso agli enti della Chiesa cattolica”. Anche il nostro giornale ha affrontato il tema cercando di offrire elementi obiettivi di informazione: vorremmo ora tornare in maniera più ampia sull’argomento, per fare chiarezza nella confusione creata da una lettura approssimativa della norma e dalla malevola distorsione dei dati oggettivi.


I DATI DI FATTO 
Vorremmo anzitutto riassumere brevemente lo stato dei fatti, per poi soffermarci sulle più macroscopiche imprecisioni e sulle più tendenziose affermazioni circolate sull’argomento.

- Oggetto dell’esenzione
L’esenzione ha per oggetto l’imposta comunale sugli immobili (ICI) e riguarda gli immobili “utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 87, comma 1, lett. c) del testo unico delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”  (D.Lgs. 504/1992, art. 7, c. 1, lett. i). Si tratta quindi di immobili per i quali si realizzano due requisiti: che siano utilizzati da un ente non commerciale e che sianodestinati totalmente allo svolgimento di una o più tra le otto attività di rilevante valore sociale individuate dalla legge. Non va dimenticato che possono qualificarsi come non commerciali solo quegli enti che rispettano precisi e rigorosi vincoli normativi, i più importanti dei quali consistono nel divieto di distribuire gli utili e gli avanzi di gestione e nell’obbligo, in caso di scioglimento, di devolvere il patrimonio residuo a fini di pubblica utilità. In pratica tutto quello che un ente non commerciale “guadagna” (con attività commerciali, con la raccolta di offerte, con l’autofinanziamento dei soci, con i contributi pubblici…) deve essere utilizzato per le attività che svolge e non può essere intascato da nessuno.

- Origine dell’esenzione
L’esenzione non è stata introdotta in questi ultimi anni, ma risale al 1992, cioè al momento dell’approvazione della legge che ha istituito l’ICI: a questo scopo, varrebbe la pena rileggere l’intero articolo 7 del decreto legislativo 504.

- Applicazione dell’esenzione
È importante sottolineare che per dodici anni, fino al 2004, l’esenzione è stata utilizzata dagli enti non commerciali senza che i comuni sollevassero obiezioni di principio; lo testimonia lo scarso contenzioso collegato per lo più ad elementi diversi da quelli che ora si contestano (si trattava in genere di rilievi circa la natura di ente non commerciale del soggetto, oppure circa l’effettivo svolgimento delle attività previste dalla norma).

- Interpretazione giurisprudenziale del contenuto dell’esenzione
Nel 2004 la Corte di Cassazione - pronunciandosi su un immobile di un istituto religioso destinato a casa di cura e pensionato per studentesse - aggiunse di fattoun nuovo requisito a quelli previsti dalla norma: i giudici infatti ritennero che per avere diritto all’esenzione siano necessari tre requisiti: a) che l’immobile  sia utilizzato da un ente non commerciale; b) che l’immobile  sia totalmente destinato ad una o più delle attività previste dalla legge; c) che l’attività non venga svolta in forma di attività commerciale. Mentre i primi due sono richiesti dalla legge, il terzo deriva da un’interpretazione esageratamente restrittiva della norma stessa.
Si tenga inoltre presente, per valutare la “singolarità” dell’interpretazione, che dal punto di vista tecnico le attività sono considerate commerciali non quando producono utili, ma quando sono organizzate e rese a fronte di un corrispettivo, cioè con il pagamento di una retta o in regime di convenzione con l’ente pubblico. È  evidente che alcune delle attività  elencate dalla legge (si pensi a quelle sanitarie o didattiche) di fatto non possono essere che “commerciali” in questo senso. Si tenga però ben presente che “commerciale” non vuol dire “con fine di lucro”: per la legge, infatti, è “commerciale” anche l’attività nella quale vengono chieste rette tanto contenute da non coprire neanche i costi.

- Prima interpretazione autentica della norma
A questo punto si rese necessaria una prima legge di interpretazione autentica che ristabilisse l’ambito dell’esenzione: l’articolo 7, comma 2-bis del D.L. 203/2005 ribadiva la sufficienza dei due requisiti iniziali e stabiliva pertanto che, ai fini dell’esenzione dall’ICI, non rilevava l’eventuale commercialità della modalità di svolgimento dell’attività.

- Denuncia alla Commissione Europea
Nello stesso anno questa disposizione è stata impugnata di fronte alla Commissione europea come aiuto di Stato. Sul presupposto che gli enti non commerciali che svolgono quelle attività socialmente rilevanti sono comunque da considerare “imprese” a tutti gli effetti, si sostenne che l’esenzione costituirebbe una distorsione della concorrenza nei confronti dei soggetti (società e imprenditori) che svolgono le stesse attività con fine di lucro soggettivo.

- Seconda interpretazione autentica e istituzione della commissione ministeriale
Per escludere che la norma di esenzione potesse avvantaggiare un’attività lucrativa rispetto ad un’altra, nel 2006 è stata emanata una seconda legge di interpretazione autentica (che ha sostituito quella precedente), con la quale è stato precisato che l’esenzione deve intendersi applicabile agli immobili nei quali gli enti non commerciali svolgono le otto attività sopra elencate in maniera non esclusivamente commerciale (cf l’art. 39 del D.L. 223/2006).
Successivamente, presso il Ministero dell’economia e delle finanze, è stata istituita una commissione con il compito di individuare le modalità di esercizio delle attività che, escludendo una loro connotazione commerciale e lucrativa, consenta di identificare gli elementi della non esclusiva commercialità richiesti: della commissione fanno parte, oltre che alti funzionari del Ministero, i rappresentanti dell’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia, quelli della Cei e dell’Agenzia per le Onlus. 

LE MISTIFICAZIONI
Questi sono gli elementi oggettivi, come ormai quasi tutti i commentatori ammettono (dopo una fase in cui anche i dati di fatto sono stati abbondantemente falsati): giudichi il lettore se da tali premesse possono discendere le conseguenze indebitamente tratte da taluni giornali, che qui di seguito elenchiamo..

- L’esenzione è riservata agli enti della Chiesa cattolica
In realtà la legge destina l’esenzione a tutti gli enti non commerciali, categoria nella quale rientrano certamente gli enti ecclesiastici ma che comprende anche: associazioni, fondazioni, comitati, onlus, organizzazioni di volontariato, organizzazioni non governative, associazioni sportive dilettantistiche, circoli culturali, partiti politici (che sono associazioni), enti religiosi di tutte le confessioni e, in generale, tutto quello che viene definito come il mondo del non profit. Non si dimentichi inoltre che fanno parte degli enti non commerciali anche gli enti pubblici.

- L’esenzione vale per tutti gli immobili della Chiesa cattolica
Come abbiamo evidenziato sopra l’esenzione richiede la compresenza di due requisiti: quello soggettivo, dove rileva la natura del soggetto (essere ente non commerciale) e quello oggettivo, dove rileva la destinazione dell’immobile (utilizzarlo totalmente per le attività di rilevanza sociale individuate). Non è vero, quindi, che tutti gli immobili di proprietà degli enti non commerciali (e, quindi, della Chiesa cattolica) sono esenti: lo sono solo se destinati alle attività sopra elencate. In tutti gli altri casi pagano regolarmente l’imposta; è il caso degli immobili destinati a librerie, ristoranti, hotel, negozi, così come delle case date in affitto.

- L’esenzione vale per ogni imposta
In realtà l’esenzione dall’ICI (che è un’imposta patrimoniale) non ha alcun effetto sul trattamento riguardante le imposte sui redditi e l’IVA, né esonera dagli adempimenti contabili e dichiarativi. Infatti gli enti non commerciali, compresi quelli della Chiesa cattolica (parrocchie, istituti religiosi, seminari, diocesi…) che svolgono anche attività fiscalmente qualificate come commerciali sono tenuti al rispetto dei comuni adempimenti tributari e al versamento delle imposte secondo le previsioni delle diverse disposizioni fiscali.

- Gli alberghi sono esenti
Per dimostrare come l’esenzione prevista dalla norma sia iniqua, danneggi la concorrenza e non risponda all’interesse comune viene citato il caso dell’albergo che, in quanto gestito da enti religiosi, sarebbe ingiustamente esente, a differenza dell’analogo albergo posseduto e gestito da una società. Va invece affermato con chiarezza che l'attività alberghiera non rientra tra le otto attività di rilevanza sociale individuate dalla norma di esenzione. Perciò gli alberghi, anche se di enti ecclesiastici, non sono esenti e devono pagare l’imposta.  A essere esenti sono invece gli immobili destinati alle attività “ricettive”. Si tratta di immobili nei quali si svolgono attività di “ricettività complementare o secondaria”. Tale classificazione deriva da norme nazionali e regionali, che distinguono fra ricettività sociale e turistico-sociale. La prima comprende soluzioni abitative che rispondono a bisogni di carattere sociale, come per esempio pensionati per studenti fuori sede oppure luoghi di accoglienza per i parenti di malati ricoverati in strutture sanitarie distanti dalla propria residenza. La seconda risponde a bisogni diversi da quelli a cui sono destinate le strutture alberghiere: si tratta di case per ferie, colonie e strutture simili. Entrambe sono regolate, a livello di autorizzazioni amministrative, da norme che ne limitano l’accesso a determinate categorie di persone e che, spesso, richiedono la discontinuità nell’apertura. Se si verifica che qualche albergo (non importa se a una o a cinque stelle) si “traveste” da casa per ferie, questo non vuol dire che sia ingiusta l’esenzione, ma che qualcuno ne sta usufruendo senza averne diritto. Per questi casi i comuni dispongono dello strumento dell’accertamento, che consente loro di recuperare l’imposta evasa. Prima ancora i comuni potrebbero contestare a chi gestisce tali strutture l’esercizio di attività alberghiera con un’autorizzazione amministrativa inadeguata. 

- Basta una cappellina per ottenere l’esenzione
È del tutto falso che una piccola cappella posta all’interno di un hotel di proprietà di religiosi  renda l’intero immobile esente dall’ICI, in base al fatto che così si salvaguarderebbe la clausola dell’attività di natura “non esclusivamente commerciale”. È vero esattamente l’opposto: dal momento che la norma subordina l’esenzione alla condizione che l’intero immobile sia destinato a una delle attività elencate e considerato che – come abbiamo visto sopra – l’attività alberghiera non è tra queste, in tal caso l’intero immobile dovrebbe essere assoggettato all’imposta, compresa la cappellina che, autonomamente considerata, avrebbe invece diritto all’esenzione.

VERSO LA SCOMPARSA DEL SOSTEGNO AL NON PROFIT?
Da ultimo ci sembra utile soffermarci sugli effetti che l’eventuale censura dell’esenzione potrebbe avere sul sistema di agevolazioni che lo Stato riconosce in generale al mondo del non profit. Infatti, se venisse meno l’esenzione per questi immobili perché ritenuta “aiuto di Stato”, si aprirebbe la strada all’abolizione di tutte le agevolazioni previste per gli enti non lucrativi, a partire dal trattamento riservato alle Onlus. Si tenga presente che, mentre nella norma contestata si prevede solo l’esenzione dall’ICI, il regime delle Onlus prevede l’esenzione anche dalle imposte dirette e, in quasi tutte le regioni, dall’IRAP. A voler essere coerenti, dovrebbe essere contestata anche la norma che consente alle associazioni di volontariato di svolgere attività, anche in convenzione con gli enti pubblici, senza che venga considerata commerciale, e un discorso analogo dovrebbe applicarsi anche alle organizzazioni non governative, alle associazioni di promozione sociale e  ai circoli culturali e ricreativi. È del tutto evidente la strumentalità dei ripetuti attacchi all’esenzione dall’ICI, dietro ai quali non pare avventato vedere un grossolano attacco all’azione sociale che la Chiesa svolge in Italia.