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2002 12 05 * Corriere della Sera * Lettere: partito del disgelo e la vergogna del 41 bis * Paolo Mieli

Mi sono molto divertito a leggere la sua risposta sulle confessioni del pentito Giuffrè. Peccato che lei, parlando di mafia, non abbia ritenuto di citare neanche di sfuggita il 41 bis, la legge che rende definitivo il carcere duro che, dopo essere stata approvata quasi all’unanimità al Senato, sta ora per passare allo stesso modo, perdipiù quasi alla chetichella, alla Camera. Entro la fine dell'anno l’Italia sarà così l’unico Paese al mondo (quantomeno tra quelli più civilizzati) che stabilisce condizioni vessatorie per una categoria formata anche da cittadini in attesa di giudizio. E il fatto che siano imputati per delitti che ripugnano a ogni coscienza civile non cambia le cose.

Giuseppe Troiano
Milano

 

Caro signor Troiano,

prendo al volo l’occasione della sua lettera per fare ammenda di un errore che ho commesso nella risposta - a cui lei fa riferimento - sul caso Giuffrè: il boss di cui ho parlato si chiama Michele Greco detto «il Papa» e non Michele Papa come ho scritto. Chi, come me, si picca di essere attento ai dettagli, non deve concedersi lapsus. Neanche uno. E, visto che ci sono, chiedo perdono anche per un equivoco contenuto in una mia precedente replica a proposito di Scipione Emiliano: dalle mie parole poteva apparire che Cartagine fosse stata distrutta due volte, nel 202 e nel 146 a.C. mentre, com’è noto, lo fu solo in quest’ultima circostanza. Doppie scuse, dunque. Ma veniamo al 41 bis. In questi giorni si è molto parlato del «partito del disgelo» (descritto e auspicato da Pierluigi Battista sulle colonne della Stampa ) cioè di quel fronte formato da personalità del centrodestra e del centrosinistra che si mostrano disponibili a disertare dalla contrapposizione permanente e a trovare un terreno di incontro per specifiche iniziative comuni. Qualcosa di assai saggio, a mio avviso; a patto che, beninteso, le suddette iniziative siano davvero circostanziate e che quel terreno di cui ho detto non si trasformi, come da tradizione, in un putrido pantano per indicibili accordi realizzati sotto il pelo dell’acqua. In ogni caso, la prima intesa bipartisan che ha coinvolto praticamente l’intero Parlamento (tranne pochissime eccezioni, Rifondazione e i radicali) la si è raggiunta su una disposizione - quella che rende definitivo il carcere duro - che mi lascia sconcertato quanto e più di lei: il 41 bis, appunto. Ho letto il libro bianco preparato dai penalisti di Roma per denunciare le conseguenze di quella norma, «Barriere di vetro», e mi sono sentito male. Non ho trovato un solo docente di diritto - tranne quelli coinvolti nell’operazione - che a quattr’occhi non mi abbia spiegato che questo nuovo 41 bis è incostituzionale. E sono giunto alla conclusione che rendere permanente una norma del genere equivale a istituzionalizzare un sistema di tortura. Sì, di tortura. Non vale nemmeno l’argomento che, chiudendo a doppia mandata i detenuti condannati o che attendono di essere giudicati per mafia (ma un domani anche per i reati di terrorismo e, pensi un po’, di «eversione»), li si spinge a collaborare con la giustizia. In un recente convegno organizzato dall'associazione Antigone è stato reso noto che i detenuti sottoposti a quel regime che hanno deciso di sottrarsi ai rigori carcerari confidandosi con le autorità inquirenti, sono stati soltanto 11 su 498 nel 1992 e ancora meno, 7 su 678, quest’anno. Una miseria. Si vuole impedire ai capi di mafia o della lotta armata di continuare a guidare i loro accoliti anche dalla prigione? Bene: si mettano direttori di carcere e magistrati in condizione di risolvere i problemi nel più efficace dei modi. Ma sotto la loro specifica responsabilità. Il resto, il 41 bis permanente, è destinato ad essere una vergogna per tutti noi. E se il disgelo è questo, meglio restare in frigorifero.