Monsignor Nunzio Scarano, insieme a un amico, ha visto i camion uscire dalla Santa Sede
Due furgoni pieni di lingotti d'oro. Monsignor
Nunzio Scarano e uno dei suoi più cari amici, Massimiliano Marcianò, un
imprenditore 45enne di Roma, hanno visto con i loro occhi la seguente scena:
due camioncini si fermano davanti alla Città del Vaticano.
Aprono gli sportelloni e in gran fretta mani
nervose caricano, proprio lì sul piazzale, davanti al monsignore e al suo
amico, alcune valigie piene di lingotti d'oro. Marcianò ha raccontato questa e
altre scene che sembrano prese da un film, quando è stato ascoltato come
testimone dalla Guardia di Finanza di Salerno guidata dal colonnello Antonio
Mancazzo, nell'ambito dell'indagine dei pm campani per riciclaggio.
Il verbale di Marcianò del 4 luglio scorso è
stato girato dal procuratore di Salerno Franco Roberti e dal pm Elena Guarino,
ai colleghi di Roma Nello Rossi, Stefano Fava e Stefano Pesci nell'ambito del
coordinamento investigativo. Il Tribunale di Roma ieri si è riservato di
vagliare la richiesta di scarcerazione presentata dall'avvocato Francesco
Caroleo Grimaldi nell'interesse di Scarano, sulla quale c'è il parere negativo
della Procura. Marcianò ha raccontato ai pm di Salerno di avere assistito alla
scena dei lingotti insieme a Nunzio Scarano e di avere chiesto al suo amico
dove fosse destinato quel carico di valigie piene d'oro. Senza risposta dall'ex
contabile dell'Apsa. Ieri il Fatto ha rivelato che Scarano nel suo ultimo
interrogatorio di lunedì scorso ha puntato il dito sull'Apsa.
Il Monsignore ha raccontato di essere stato
messo da parte dopo avere denunciato al segretario di Stato Tarcisio Bertone
alcune operazioni poco chiare effettuate da un collaboratore del direttore
Apsa, Paolo Mennini. Inoltre ha fatto il nome di un peso massimo della finanza
come il gruppo Nattino. Monsignor Scarano ha parlato di operazioni sospette
effettuate dall'Apsa, l'altro grande ente finanziaro del Vaticano, accanto allo
Ior: imprenditori che intestavano le loro ricchezze a società svizzere o
monegasche e che poi facevano girare i soldi sui conti Apsa.
Inoltre ha spiegato alcune operazioni lucrose di
spostamento di masse enormi di capitale tramite banche italiane, con utili
finanziari occultati alle autorità italiane sempre grazie all'istituto
vaticano. Il monsignore inoltre aveva nel suo archivio alcuni dossier sulle
operazioni dell'Apsa.
Lo ha raccontato agli investigatori salernitani
il suo amico Marcianò. Anche gli armatori D'amico, indagati a Roma per
dichiarazione dei redditi infedele come svelato dal Fatto , sono stati
interrogati dai pm romani sui loro rapporti finanziari con Scarano e il broker
Carenzio. Paolo D'Amico, presidente dellla Confitarma, organizzazione padronale
degli armatori, ha raccontato: "ho conosciuto Carenzio attraverso Scarano
che lo ha indicato come persona affidabile. Io ho concesso un finanziamento di
5 milioni di euro a una società amministrata dalla moglie di Carenzio alle
Canarie e ne ho riavuto indietro solo 1,5 milioni". Mentre Cesare D'Amico,
suo cugino e socio, ha dichiarato: "ho affidato a Carenzio nel 2008, 1
milione di euro per investimenti immobiliari e non ho recuperato nemmeno in
parte la somma. Mai saputo di somme di denaro in Svizzera".
Nell'interrogatorio di garanzia del primo luglio
scorso davanti a gip di Roma Barbara Callari, Scarano ha detto che il denaro
depositato in Svizzera (in ipotesi dei D'Amico) sarebbe stato trasportato a
Roma con l'aereo ma poi sarebbe finito a Beirut. Sempre secondo quanto
dichiarato al giudice da Scarano, l'agente dei servizi segreti Giovanni Maria
Zito avrebbe poi portato la somma (20 milioni di euro) a Beirut, perché il
Libano "è un paradiso fiscale".