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2008 08 07 * Il Sole 24 Ore * L’enigma dei soldi scomparsi * Aldo Bernacchi

«A 25 anni dal crack mancano all’appello 500 milioni di dollari: metà di questi capitali fanno forse parte del tesoro personale di Calvi a cui si è data la caccia per anni ma che non si è mai scoperto». È questa la cifra indicata da Paul Mousel, l’avvocato liquidatore del Banco Ambrosiano holding, cui faceva capo la ragnatela di partecipazioni estere del gruppo bancario presieduto da Calvi, al momento della liquidazione della filiale lussemburghese. Liquidazione che nel marzo 2005 chiudeva definitivamente, dopo quelle in Italia e a Nassau per l’Ambrosiano Overseas, le procedure di recupero dei crediti.

Quasi 23 anni di lavoro su tre fronti distinti per turare in parte una falla di 1,5 miliardi di dollari, pari più o meno alle risorse drenate dallo Ior e dalle sue finanziarie off-shore, come denunciò in Parlamento fin dalll’8 ottobre 1982 il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta che d’intesa con Bankitalia aveva messo in liquidazione il Banco il 6 agosto di 25 anni fa. Quanto al tesoro personale, in Lussemburgo va per la maggiore la tesi secondo cui i capitali potrebbero essere stati dirottati dal banchiere di Dio, nei tumultuosi giorni precedenti la sua fuga verso la morte, in una banca dell’Uruguay, controllata da una finanziaria lussemburghese dell’Ambrosiano. Altri sostengono che il tesoro abbia preso la strada dell’America - in Canada risiedeva la moglie di Calvi, Clara Canetti morta l’anno scorso - dopo essere forse transitato presso l’Inecclesia, una finanziaria venezuelana controllata dall’Opus Dei.

Dei tanti milioni di dollari erogati senza ritorno dall’Ambrosiano, un loro destinatario che agli inizi degli anni 80 doveva restare segreto - per ovvie ragioni di politica internazionale - è Solidarnosc il sindacato polacco, che Papa Wojtyla decise di aiutare nella sua lotta contro i comunisti al potere a Varsavia. E Paul Marcinkus, il cardinale che comandava sullo Ior, per esaudire la volontà del Pontefice si rivolse a Calvi. Lo ha confermato - nella deposizione dell’11 aprile 2006 al processo romano istruito dal Pm Luca Tescaroli – Francesco Pazienza, ex collaboratore del Sismi, poi consulente personale di Calvi. «Nel marzo del 1982 - ha dichiarato Pazienza - su incarico di Calvi con l’ok di Marcinkus mi occupai personalmente del finanziamento di 4 milioni di dollari. Si trattava di lingotti d’oro, arrivati a Danzica nel doppio fondo di una jeep».

Vaticano, Loggia P2, mafia e malavita sono stati i terminali ricorrenti della valanga di soldi usciti e rigirati dall’Ambrosiano. Che nella sola operazione Corriere della Sera – di cui il Vaticano, tramite la Giammei, una commissionaria di Borsa, era diventato il principale azionista occulto – impegnò e perse non meno di 250 miliardi di lire. Al contrario ogni ricapitalizzazione della Rizzoli era l’occasione di laute creste per i vari Licio Gelli, Umberto Ortolani e Bruno Tassan Din. Ma a differenza di altri "tesoretti" di cui si è persa la traccia, quello svizzero di Gelli - 150 miliardi di lire e 250 chili d’oro – venne confiscato nel febbraio 1996 dal tribunale penale ticinese e messo a disposizione delle parti civili danneggiate dalla bancarotta dell’Ambrosiano.

Tra i tanti misteri c’è anche una sequenza di omicidi o decessi in circostanza del tutto strane di personaggi che potevano rivelare verità scottanti, come la morte di Walter Pierre Siegenthaler, uomo fidato dell’Opus Dei, il potente direttore dell’Ambrosiano Overseas di Nassau, vittima di un incidente in montagna nel 1996 pochi giorni prima di essere interrogato in Italia. E l’Opus Dei è al centro dell’ultimo disperato tentativo di Calvi di trovare le risorse per salvare il Banco.

Un giallo nel giallo è il fondo segreto di 2.200 milioni di dollari gestito dall’Inecclesia, che Calvi cercò di sbloccare a Londra in extremis incontrando Alberto Jaime Berti. Ne ha parlato con i giudici italiani lo stesso Berti, ex presidente della finanziaria venezuelana legata all’Opus Dei, la cui principale finalità era riciclare capitali cancellando ogni traccia dei titolari. L’importo di quel deposito era abnorme ma aveva la raccomandazione dello Ior. E Berti eseguì. In seguito quel fondo, di cui erano titolari sei soci tra cui l’Opus Dei, lo Ior e forse lo stesso Calvi, venne dirottato verso una società panamense e quindi investito sul mercato americano. Lo sblocco chiesto da Calvi non fu possibile: troppo stretti i tempi. I certificati che consentivano la sua attivazione sarebbero finiti in una cassetta di sicurezza della Paribas di Ginevra per conto dell’Inecclesia. Calvi morirà nemmeno 48 ore dopo l’incontro con Berti portando con sé un altro dei tanti misteri legati al suo nome.