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2007 08 06 * Palamitonews * Perdas de Fogu (nimigu) * Paola Marras

http://www.palamitonews.com/numero287/intervista_gettiamo_le_basi_1.htm

"È dal 2001 che continuano a fare indagini pseudo scientifiche mirate appunto a non trovare. A me come cittadina non interessa sapere se è uranio, saturno o plutonio! Questo deve interessare per fare prevenzione e per stabilire eventuali responsabilità politiche. È importante per accertare le responsabilità penali. Ma a me come cittadina interessa per bloccare la strage".

                                                                 Mariella Cao
                                                                 Coordinamento Sardo Gettiamo le Basi

Agnellini con orecchie al posto degli occhi, bambini nati senza il cervello, rilevazioni di plutonio e di nanoparticelle. Se si esclude la scena di un film dell’orrore il pensiero correrebbe magari a qualche paesino sperduto presso i confini di Chernobyl.

Invece siamo in Sardegna, la regione che “…ha subito e continua a subire la peggiore colonizzazione militare della storia italiana”, come ci racconta drammaticamente Mariella Cao, del Coordinamento Sardo “Gettiamo le Basi”.

Palamitonews non poteva rimanere indifferente, come la maggior parte dei media nazionali, a questa lenta e silenziosa tragedia, che si consuma tra basi americane e poligoni di tiro “dove di fanno i cosiddetti giochi di guerra, con vero munizionamento da guerra”.

Mariella, prima di tutto ci puoi spiegare cos’è il Salto di Quirra?

«Il poligono Salto di Quirra, chiamato anche di Perdas de Fogu (in lingua sarda pietre di fuoco; n.d.r.), è il poligono più grande d’Europa, il fiore all’occhiello delle forze armate italiane. Usato, però, non solo dalle forze armate ma dato in affitto alle varie multinazionali delle armi, che lo usano come palestra per fare esperimenti, test, collaudi, come show-room per vendere armi, per far vedere come funzionano bene razzi e missili! Quindi ha questo doppio ruolo civile, per così dire, e militare, cioè messo a disposizione dell’industria militare. Da questa specie di affitto il poligono ricava, cioè il Ministero della Difesa, un fiume di miliardi, perché affittare un poligono costa, e costa tanto. Normalmente ci sono due, tre imprese che hanno in affitto parti diverse del poligono. Di quello che succede, in gran parte se ne sa poco o niente. Quello che si sa è che in questa popolazione, cioè in questa frazione di Quirra, che è incuneata tra il lato a mare e il lato a terra di questo poligono, si registrano a partire dal 1998 (il primo allarme) ad oggi, su 150 abitanti 20 casi di leucemia o tumori al sistema emolinfatico. 
Ormai in Sardegna è nota come la Sindrome di Quirra, perché sono le stesse patologie della cosiddetta sindrome del Golfo e dei Balcani. I dati ufficiali, che abbiamo strappato con una lotta durata anni, prendono in esame solo la mortalità. La mortalità, sempre per tumori al sistema emolinfatico, ammonta a 14 casi, 20 con gli ammalati. In un altro paese, Escalaplano, situato sul lato Ovest, nel confine interno del poligono, contiamo 14 bambini nati con gravissime malformazioni genetiche. Ma sono gli stessi militari a fare da cartina da tornasole. Tra militari che hanno prestato servizio nel poligono di Quirra contiamo 17 casi, sempre da tumore da sindrome di Quirra».

Da cosa sono provocati questi tumori e queste malformazioni?

«Subito si è pensato all’uranio. L’attenzione, però, all’inizio si è puntata sui casi dei militari reduci dalle zone di guerra che rientravano, visto che la Brigata Sassari è sempre in prima linea. Nella prima guerra mondiale è stata usata come carne da macello, adesso sempre in prima linea come carne da radiazione. Quindi all’inizio l’attenzione era rivolta soprattutto sui militari che rientravano dai Balcani. La famiglia del militare Salvatore Vacca (prima vittima della “sindrome dei Balcani”; n.d.r.), infatti, ha sempre sostenuto che la leucemia che ha ucciso Salvatore nel 1999 è stata provocata dall’uranio. Quasi subito parla un’altra famiglia, denunciando il caso del proprio famigliare colpito dalla stessa malattia, che però aveva prestato servizio solo a Capo Teulada. Da lì l’attenzione. Se lo usano nei Balcani, è possibile infatti che lo abbiano usato in Sardegna, perché in Sardegna vengono ad allenarsi e ad addestrarsi gli eserciti di mezzo mondo, in primis gli Stati Uniti, che hanno in loro dotazione, come armamento standard, il munizionamento all’uranio. Le esercitazioni in Sardegna si fanno con vero munizionamento da guerra.
L’Italia, almeno ufficialmente, non dovrebbe averne
(di armamentario all’uranio; n.d.r.), però il problema non è l’Italia è soprattutto l’uso da parte degli altri eserciti (stranieri; n.d.r.). A Quirra il problema è che il poligono viene usato soprattutto da imprese private. Quindi, al segreto militare si somma il segreto industriale. Se di quello che fanno i militari un minimo di informazione c’è, perché è dovuta per legge, di quello che fanno le imprese private non se ne sa niente, e poco o niente ne sanno anche i militari. Perché queste aziende private si limitano ad autocertificare che è tutto in regola, però nessuno controlla questa autocertificazione delle imprese. E come risulta ormai ufficialmente dagli atti della Commissione Senato, il segreto industriale supera e scavalca il segreto militare».

Di quali imprese private stiamo parlando?

«Stiamo parlando di grosse imprese private, andiamo dall’Alenia, dalla Fiat, alll’Oto-Melara, all’Iveco, al Consorzio Eurosan europeo, all’Aerospatiale, insomma il gotha dei produttori di armi. Una di queste ditte, le Oerlikon Contraves S.p.A, che ha il suo stabilimento in Svizzera, ha usato e fabbrica armi all’uranio, come risulta da quello che è successo in Svizzera. E la Oerlikon Contraves S.p.A è uno dei migliori clienti del poligono di Quirra». 

[ Il 15 gennaio del 2001, infatti, il Corriere del Ticino “riportava la notizia secondo la quale erano in corso accertamenti su circostanze e possibili conseguenze dei test con munizioni all'uranio impoverito effettuati negli anni Settanta dalla Contraves, nel comune svittese di Unteriberg”. (1) 
L’allarme e i controlli nell’azienda delle armi scattarono quando si venne a sapere che l’allora direttore del poligono di tiro della Contraves era malato di leucemia.
Secondo il Dipartimento Federale della Difesa Svizzero, poi, i bombardamenti in Kosovo con munizioni contenenti uranio impoverito furono possibili proprio grazie alla produzione che la Contraves aveva iniziato negli anni ’70. Javier Solana, in quel periodo responsabile della politica estera dell’Unione Europea, chiese subito degli approfondimenti al riguardo, anche perché nessuno era in grado di stabilire chi avesse autorizzato tale produzione; n.d.r. ]

«Però il sospetto non è solo l’uranio, all’inizio si è partito dall’uranio. – continua Mariella Cao -Oggi, paradossalmente, speriamo che sia solo uranio!».

Perché, quali sono gli altri sospetti?

«I sospetti vanno..anche se detto così può sembrare quasi assurdo, che ci siano esperimenti mirati sulla popolazione. Ripeto, può sembrare assurdo, però teniamo presente che questi esperimenti sono stati fatti, ufficialmente ammessi, dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra, dalla Francia e persino dalla pacifica Svezia. Rientrano tra le cose che fanno, poi si viene a sapere quando si solleva la protesta e si cercano gli atti». 

[ Assurdo, ma vero. Sono moltissimi i test fatti per decenni dalle nazioni “democratiche”occidentali utilizzando i propri cittadini come cavie umane. Uno speciale pubblicato sul mensile Nexus (edizione italiana n. 17) denuncia che intere popolazioni negli USA, ma anche in Australia, Canada, Danimarca, Francia, Giappone, Norvegia, Sud Africa, Svezia e Svizzera, eseguivano su intere popolazioni esperimenti con radiazioni, armi chimiche e biologiche, droghe psicotrope, vaccinazioni e sterilizzazioni. (2); n.d.r. 

Esperimenti mirati in che senso?

«Per verificare come la popolazione reagisce. Purtroppo sono cose che rientrano quasi nella norma. Si sa degli esperimenti sulla popolazione fatti dai militari, che però assicurano che erano innocui».

E la popolazione? È al corrente di tali esperimenti?

«No, no, sono sempre stati segreti. Si è venuto a sapere dopo anni e anni. Come gli esperimenti fatti dagli Stati Uniti nelle metropolitane di New York.
Da noi, la popolazione civile è venuta a sapere di questa cosa chiamata uranio impoverito dopo la Guerra del Golfo, degli anni ’90, ma veniva usata già nella guerra del Vietnam, negli anni ’60, per cui noi siamo sempre in grandissimo ritardo sulle informazioni! Sappiamo che la zona di Quirra è la zona più spopolata della Sardegna, non c’è una fabbrica, non c’è un’impresa e visto così è un paradiso terrestre. Non ci sono altre fonti di inquinamento, sicché si è cercato di depistare quando la pressione dell’opinione pubblica è diventata molto forte, quando la stampa sarda ha gridato in prima pagina per mesi e mesi nel silenzio agghiacciante di tutti i media a diffusione nazionale. In seguito sono stati costretti a fare indagini e si è depistato su una miniera d’arsenico chiusa dal 1974.
L’arsenico produce varie forme di avvelenamento ma non certo tumori al sistema emolinfatico. In seguito ad un check-up successivo sulla popolazione, l’Asl n.8 (di Cagliari; n.d.r.) che aveva lanciato la pista arsenico ha dovuto ammettere che non si riscontrava nessuna traccia di contaminazione d’arsenico. Le prime denuncie sono state lanciate dal vecchio sindaco di Villaputzu (Antonio Pili; n.d.r.), anche medico oncologo (ex primario di pneumologia al Binaghi di Cagliari¸n.d.r), che poi chiaramente “è stato fatto fuori”. Quando è cominciata l’attenzione sul problema dell’uranio, tra i suoi pazienti si registravano otto casi. Anche il medico di base che operava a Quirra denunciò ripetutamente i suoi sospetti, ma tutto cadde nel vuoto».

[ Il sindaco Antonio Pili fece intervenire anche il Ministero della Difesa affinché venissero adoperati tutti i mezzi necessari per un monitoraggio del territorio. Ma ha combattuto questa battaglia in grande solitudine “da sindaco, da medico e da uomo” come ha sempre tenuto a chiarire. (3) Ed ecco perché poi Pili ha pagato politicamente il suo coraggio di uomo e di medico; n.d.r. ]

«Dal 2001 ad oggi - continua Mariella - abbiamo una serie di indagini sedicenti scientifiche mirate a non trovare, mirate a depistare perché l’ultima indagine epidemiologica commissionata dalla Regione Sarda ci dice che l’alto tasso di linfomi di Hodgkin è da attribuire all’eccesso di benessere, all’urbanizzazione e al miglioramento della vita, dimenticandosi che il Salto di Quirra è classificato tra le cenerentole della Sardegna. È la regione più abbandonata e più spopolata di tutta la Sardegna. Perciò è una spiegazione che suona veramente come un insulto all’intelligenza».

Visto che le risposte delle istituzioni sono risultate sempre volte a tranquillizzare la popolazione, avete organizzato delle ricerche indipendenti?

«Noi abbiamo esaminato il risultato dell’indagine epidemiologica fatta dalla regione cercando di essere sintetici il più possibile, è un documento di circa cinque pagine, che abbiamo dato alla Commissione Senato sull’uranio impoverito. Abbiamo chiesto che fosse acquisito dalla precedente Commissione, l’abbiamo spedito alla nuova Commissione, l’abbiamo consegnato alla Commissione Difesa della Camera e in precedenza l’abbiamo presentato all’Assessore alla Sanità (Nerina Dirindin; n.d.r.) questo settembre, e l’assessore si era impegnata a portare avanti una nuova indagine, ma…».

Quando è stato presentato questo documento?

«A settembre 2006 l’abbiamo presentato alla Dirindin chiedendole di procurarci un incontro con l’equipe epidemiologica, cosa che è stata fatta, e l’assessore si è impegnata a portare avanti un’altra indagine. Sappiamo che sta andando avanti però, insomma, siamo a giugno…».

Non ne avete saputo più niente?

«Sappiamo che sta andando avanti con molte difficoltà per reperire i dati, anche per il disordine e la disorganizzazione totale degli ospedali, perché per via della legge sulla privacy il registro dei tumori ormai non è nominativo, e quindi è un lavoraccio».

Oltre che i casi di tumori, quali altre prove bisognerebbe presentare per provare il nesso tra uranio impoverito e patologie? 

«Sono indagini diverse. Uno è la documentazione scientifica, epidemiologica. Quando noi diciamo che ci sono 20 casi, c’è l’evidenza delle croci nei cimiteri e le persone nel letto di un ospedale. Però non è un dato scientifico. Stabilire poi il nesso tra quel tipo di leucemia e l’agente killer sarebbe una scoperta da Premio Nobel. Finora, infatti, a livello attuale delle conoscenze c’è solo un forte legame di probabilità in questa relazione causa-effetto.
Però è anche vero che gli Stati uniti, già durante la guerra “Restore Hope”, la guerra in Somalia, equipaggiavano tutti i militari statunitensi con tute e maschere ed era stato dato il libretto con le norme precauzionali. L’Italia, invece, che sapeva già da allora, ha deciso di dotare i militari con queste norme precauzionali solo dopo la morte di Salvatore Vacca e la denuncia della famiglia. Da qui si deduce chiaramente che l’uranio e l’ingestione di polveri di uranio provoca tumori e alterazioni genetiche».

[ Esiste infatti un documento, che risale all’ottobre del 1993, inviato dal Pentagono al comando d’interforze di stanza a Mogadiscio, dove era presente anche l’Italia con la missione, appunto, “Restore Hope”. Un semplice prontuario con le precauzioni da adottare riguardo ad un unico oggetto: l’uranio impoverito.
Nell’agosto del 1996, poi, la Nato inviò alle Ace (Comando militare dell'alleanza atlantica in Europa), quindi anche all’Italia, una dettagliata direttiva precauzionale sui rischi da contaminazione per radiazione, comprese quelle dei raggi alpha, beta e gamma, sottolineando che il rischio per la salute dei soldati era anche a lungo termine, con l’insorgenza di cancro e altri tumori.
Nel 1996 le forze militari italiane erano impegnate in Bosnia, però l’Italia adottò solo nel 1999 le norme emanate dalla Forza multilaterale, al contrario degli altri eserciti che già venivano dotati di tute, maschere e occhiali per proteggersi dalle polveri sottili emanate dall’uranio; n.d.r. ]

Ma in questi poligoni c’è stata mai l’ammissione dell’utilizzo di armi ad uranio impoverito? 

«Chiaro che dicono sempre: “non ne abbiamo usate”. Per l’Italia, più o meno, ci possiamo anche credere ma le altre Nazioni le usano abitualmente e allora le spiegazioni diventano estremamente contraddittorie. L’Italia, poi, non ha nessun potere di prendere visione delle armi delle altre Nazioni. Quindi l’informazione si basa sull’autodenuncia di tale armamentari. I vertici militari hanno sempre sostenuto, anzi, hanno sempre usato questa frase ambigua: “Noi militari italiani non abbiamo mai usato armi all’uranio impoverito”. Affermano, poi, che dopo ogni esercitazione viene fatta la bonifica, anche se la realtà è alquanto diversa. Per esempio a capo Teulada c’è tutta una zona del poligono che è interdetta persino agli stessi militari perché non è mai stata bonificata e tale è l’accumulo di inesploso che c’è appunto il divieto di ingresso degli stessi militari. E il mare è più o meno nelle stesse condizioni». 

Quindi, a quanto vi risulta, non sono mai state fatte le bonifiche in questi poligoni?

«No, non le hanno mai fatte. Che la bonifica sia obbligatoria lo dice il regolamento». 

Ma voi avete mai trovato la cosiddetta “pistola fumante”, ovvero un bossolo, un proiettile…

«Se l’uranio è l’arma perfetta è perché non lascia tracce. Trovare un proiettile è come cercare un ago in un pagliaio. Mentre con le strumentazioni scientifiche si può confondere con l’uranio naturale».

Ma non sono due elementi diversi?

«C’è appunto la tecnica messa a punto dalla dottoressa Gatti, che mira a trovare le nanoparticelle, cioè sfere, di metalli pesanti. All’inizio la scoperta della dottoressa Gatti è stata accolta con favore dal mondo militare perché distraeva i sospetti dall’uranio. Però, quando è cominciato a diventare sempre più chiaro che queste nanoparticelle si formano solo ad altissime temperature e che, quindi, se l’uranio non è l’agente killer è però il mandante, la dottoressa Gatti è stata dimenticata. La dottoressa Gatti ha fatto delle ricerche a Quirra e a trovato nei tessuti delle persone di Quirra le stesse nanoparticelle trovate su Valery, un militare sardo morto di leucemia dopo aver prestato servizio sui Balcani. Si è parlato molto di Valery, ancora oggi quando ci sono le partite di calcio del Cagliari appare quasi sempre lo striscione: “Loro ti hanno dimenticato noi no”; “Valery ucciso dai soliti ignoti” e ignoti scritto con i colori della bandiera italiana. 
Le ricerche della dottoressa Gatti hanno individuato nei tessuti di Valery e nei tessuti di alcune persone di Quirra ammalate le stesse nanoparticelle. Ed anche in alcuni animali nati deformi, come per esempio un agnello nato con le orecchie al posto degli occhi. Perché le alterazioni genetiche non sono solo tra i bambini di Escalaplano ma anche e soprattutto tra il bestiame. I pastori denunciano, appunto, aborti spontanei, malformati. Dopo queste prime ricerche la dottoressa Gatti ha chiesto di fare un’ulteriore indagine e gli è stato posto il veto. Questo risulta agli atti, dall’audizione della dottoressa Gatti alla Commissione del Senato, più o meno un mese fa. Gli è stata tolta anche la strumentazione.
La Gatti è una ricercatrice universitaria. Già da tempo era impegnata in queste ricerche sulle nanoparticelle e si è capito che potevano essere utili per fare chiarezza sulla, diciamo, sindrome dei Balcani. Già lavorava da molto sui tessuti dei militari che sono stati nei teatri di guerra. Per questo è stata chiamata anche per fare le indagini a Quirra. Poi, quando le ricerche della Gatti hanno preso una piega non molto gradita alle elite al potere, prima gli è stata tolta la strumentazione poi gli è stata negata la possibilità di un’ulteriore ricerca. Con la scorsa Commissione del Senato aveva il ruolo di consulente, non era una ricerca commissionata dal Senato, svolgeva solo un ruolo di consulenza. Pare che l’attuale Commissione gli abbia rinnovato questo ruolo».

[ Nanopathology è una parola inventata appunto proprio dalla dottoressa Gatti, che sta a significare tutte quelle patologie causate da micro e nano particelle. La tecnica da lei inventata è quella di cercare l’uranio impoverito direttamente all’interno dei tessuti patologici, essendo particelle infinitamente piccole, che si avvicinano ai nanometri. Nelle biopsie, la Gatti ha trovato delle particelle tonde, e si sa che le forme rotondeggianti sono causate solo da combustioni ad altissima temperatura. Queste stesse particelle sono state rinvenute, in base a rapporti americani, in esplosioni di bombe all’uranio impoverito. In più, poi, le esplosioni fanno fondere tutti i materiali presenti (dalle fabbriche ai carri armati, per esempio), creando un ulteriore inquinamento ambientale in cui si rilevano tutti i composti chimici presenti al momento del bombardamento.
“E' importante ricordare tale composizione per verificare non solo le problematiche di salute riferite all'uranio impoverito, quanto anche quello di indagare sui soggetti che abitano le zone limitrofe al poligono di Salto di Quirra in Sardegna – sottolinea la dottoressa Gatti, continuando - E' in atto una contaminazione planetaria prodotta da nanoparticelle inquinate. Ingerite anche mangiando un alimento contenente nanopolveri, passano irreversibilmente nei tessuti. Entrano nel sangue e nello sperma. Vengono trasmesse al partner tramite l'atto sessuale”. (4); n.d.r. ]

«Il punto è - continua Mariella Cao - che in presenza di un sospetto che ci sia una fonte di contaminazione si deve agire, perché questo dicono le leggi. Non solo italiane ma per le norme internazionali sottoscritte dall’Italia vige il principio della precauzione. Cioè si chiude e si cerca. Quello che facciamo noi in casa se sentiamo puzza di gas, spegniamo tutto e cerchiamo di controllare se ci sono perdite. O come quando si ha anche solo il sospetto di una ruota bucata, ci si ferma e si controlla. Non ci deve essere la dimostrazione del danno per adottare delle precauzioni. A Quirra, poi, i sospetti equivalgono ad una realtà di persone su 150 con tumori al sistema emolinfatico, percentuale da campo di sterminio, neanche da eventuale teatro di guerra. 
È dal 2001 che continuano a fare indagini pseudo scientifiche mirate appunto a non trovare. A me come cittadina non interessa sapere se è uranio, saturno o plutonio! Questo deve interessare per fare prevenzione e per stabilire eventuali responsabilità politiche. È importante per accertare le responsabilità penali. Ma a me come cittadina interessa per bloccare la strage».

Com’è l’atteggiamento della popolazione rispetto a chi prende posizione contro il poligono?

«Da lì è partito il venticello che è cominciato a soffiare sempre più impetuoso. Però quelli che hanno denunciato la leucemia sono tacciati di voler speculare sulla morte di figli, padri e che, anzi, sono stati pagati milioni anzi miliardi dai giornalisti (per raccontare queste storie ;n.d.r.)».

Cioè?

«Cioè è partita la compagna infamante. Quando non si sa come reagire si mette in atto la campagna di diffamazione. Per cui chi ha parlato lo ha fatto perché è manovrato, o lo fa per interessi e perché pagato dalla stampa. Oltretutto non si capisce bene quale interesse ci possa essere in quella zona, che è la più disastrata della Sardegna. Il sindaco che ha chiesto accertamenti è stato accusato addirittura di voler mandare via i militari per farsi villette. Magari con lo slogan: “Quirra, la più bella leucemia che ci sia”. 
In contemporanea è stata messa su un’altra campagna diffamatoria. Chi denuncia viene messo al bando con l’accusa di voler far crollare l’economia del paese. Solo che l’economia a Quirra si riduce ad un po’ di arance e pecorino.
C’è anche una condanna a due mesi per il sindaco che ha osato chiedere accertamenti».

Ma esiste la consapevolezza tra la popolazione di questi gravissimi problemi?

«Non tutti sono ancora consapevoli, a causa della campagna martellante che ripete che non è vero, che tutti muoiono prima o poi, che i tumori ci sono anche a Milano. Altri sono consapevoli ma hanno a questo punto davvero paura a parlare e di essere messi al bando. C’è una situazione da rassegnazione. Io posso citare delle parole da brivido di un pastore di Quirra, tra quelli che non hanno mai parlato: “io non so se ho tre mesi o tre anni, sono rassegnato, so che non mi resta molto, non gliene importa a nessuno di noi. Qui meno siamo e più gli fa comodo. Gli facciamo un favore, così gli liberiamo la zona. Chi è che ci tutela? Dovrei espormi pubblicamente per che cosa?”. Ed è morto ad aprile. Lui era perfettamente consapevole su che cosa gli ha provocato la leucemia, ma non ha mai detto una parola, non ha mai accettato un’intervista proprio perché consapevole anche della tensione che c’era dietro».

In Sardegna ci sono altri casi simili?

«L’attenzione si è puntata inizialmente su Teulada, poi sono emersi i casi di Quirra. Nella Maddalena, invece, le voci di alterazioni genetiche risalgono agli anni ’70. A metà degli anni ’70 furono registrati cinque casi di bambini nati senza cervello. Fino ad adesso non abbiamo né conferme né smentite che questi casi rientrino nella norma. Si è sempre parlato di numero altissimo sia di mutazioni genetiche che di tumori, alla Maddalena come in tutti i paesi coinvolti dai poligoni. Quando la stampa ha cominciato a parlare della Sindrome di Quirra e denunciato i casi sia di civili che di militari, la popolazione dei maddalenini ha cominciato ad organizzarsi, per cercare di acquisire e riunire i dati, operazione più difficile alla Maddalena perché sono più di 11.000 abitanti, mentre a Quirra si riescono ad avere anche facendo una chiacchierata al bar visto che sono 150. Poi è stata avviata una indagine epidemiologica e alla Maddalena risulta un +176% (superiore alla media) di linfoma di Hodgkin, e un +300% di casi di melanoma. Insomma, una situazione da inquinamento pesante».

Ma alla Maddalena non si parla di uranio impoverito. Di cosa allora?

«Alla Maddalena la cosa è abbastanza chiara. L’unica cosa che può provocare queste patologie è la base atomica. C’è un andirivieni incontrollato di sommergibili a reazione nucleare, e rientra nella norma che ci sia un rilascio radioattivo. La base della Maddalena funziona come officina per riparare i sommergibili e quindi è pressoché impossibile che non abbiano rilasciato niente. Le prime denuncie furono lanciate da un quotidiano corso negli anni ’70 che raccontava di rifiuti radioattivi sotterrati nell’Isola di Santo Stefano. Incredibile ma vero le autorità confermarono dicendo che era vero ma che non erano pericolose! Anche in questo caso ci sono indagini ufficiali che affermano che è tutto a posto. Peccato che vengono fatti con strumenti del tutto inidonei a rilevare qualcosa. Questo non lo dico io ma la Commissione per gli Esteri della Camera del 1990 che stabilì che gli strumenti erano del tutto inefficaci e obsoleti ed impegnava il governo a mettere a punto un sistema serio di monitoraggio».

Ed è stato fatto?

«Secondo le analisi ufficiali, fatte con strumentazione inadeguata, è tutto a posto. Secondo un’indagine fatta a fine anni ’80 dalla professor Cortellessa, indagine fatta per conto di Greenpeace, risultavano invece tracce di cobalto 60, altamente radioattivo. Dopo che l’attenzione si è rivolta al Salto di Quirra e dopo che c’è stato l’incidente al sommergibile statunitense nell’ottobre 2003, la popolazione della Maddalena si è mobilitata ed è stato affidato un campionamento al laboratorio francese indipendente, il Criirad, che ha trovato una percentuale di torio radioattivo di 400 volte superiore alla norma e tracce di plutonio. Il Criirad si è subito allarmato visto che il plutonio non è un elemento che si trova in natura, al contrario dell’uranio e del torio. Seguì in Italia un approfondimento condotto del professor Aumento, ed anche lui ha rilevato forti tracce di plutonio. La prima trance della ricerca del professor Aumento è stata anche pubblicata in ambito internazionale. La seconda trance degli studi di Aumento, invece, non riesce ad andare avanti per totale mancanza di fondi, così come non riesce ad andare avanti la seconda trance della ricerca della Gatti.
Insomma, le indagini epidemiologiche sulla popolazione sarda sono state fatte, ma poi messe in un cassetto. Nonostante queste percentuali si sappiano, e sono cifre da spavento, non hanno prodotto nessuna conseguenza.
D’altronde, non bisogna disturbare gli americani che forse se ne vanno! Il che apre ad un’altra chiave di lettura. Cioè fare precocemente fagotto per evitare le responsabilità dei danni provocati. Si cerca quindi di dimenticare. Altrimenti scapperebbero tutti i turisti. Un vero ricatto. Essendo l’economia sarda basata quasi esclusivamente sul turismo la prospettiva è o di essere strangolati economicamente o di crepare di leucemia e nascere con malformazioni genetiche».

Ma è vero che gli americani vanno via?

«Quello che è successo a Vicenza e sta succedendo in tutta Italia, alla Maddalena è successo già da molto. Dopo il 2001, cioè dopo l’attentato alle Torri Gemelle, gli Stati Uniti hanno deciso di rimettere le mani su tutte le basi, nelle loro strutture all’estero. Tra fine 2001 e inizi 2002 hanno presentato tutti i progetti di ristrutturazione e ampliamento. In Sardegna, dove l’attenzione popolare è sempre stata molto molto forte, siamo venuti a saperlo immediatamente mentre a Vicenza l’hanno saputo quest’anno. A Vicenza hanno cominciato i lavori prima ancora che la gente ne venisse a conoscenza. Da noi, invece, la notizia si è venuta a sapere immediatamente e già dal 2002 è ripresa l’attività popolare. È partita la lotta non solo contro la nuova base che progettavano di costruire ma si è messa in discussione la stessa base esistente. Una lotta che ha coinvolto tutti i settori. Il 2002 è stato oltretutto l’anno clou della campagna di denuncia riguardo la storia del poligono di Quirra e quindi la lotta alla Maddalena è emersa ancora più prepotentemente.
Nell’ottobre 2003 succede l’incidente al sommergibile nucleare statunitense, per cui la gente si rende conto che il pericolo nucleare è veramente reale. È così partito un referendum e l’allora Consiglio Regionale a maggioranza centro-destra, che bocciò in pieno la linea governativa di allora, deliberò a maggioranza lo smantellamento della base alla Maddalena, in tempi rapidi e ragionevoli. La lotta partiva quindi dai settori più impensati. Per esempio da un consigliere provinciale di Forza Italia della provincia di Sassari, che denunciò il suo leader Berlusconi e l’allora Presidente della Regione sarda per comportamento omissivo e omertoso sulla questione della base.
Poi ci sono stati cittadini che hanno denunciato Bush per il tumore che si ritrovavano. Insomma, in questo clima d’agitazione in ottobre-novembre del 2005 arriva l’annuncio che la base della Maddalena va via.
Tra i vari leader politici è partita un po’ la corsa per l’accaparramento medaglietta, Soru (Renato Soru, attualmente Presidente della Regione Sardegna; n.d.r.) ha rivendicato il merito, stoppato da Berlusconi e poi da Fini, perché Ministro degli Esteri; anche Cossiga ha cercato di prendersi il merito.
Noi però siamo un pochino malfidati, giustificati dopo 30 anni di bugie.
Le promesse sono che vanno via ad ottobre 2007, anche se alla fine non è che ci sono poi molte cose da portar via. Principalmente è la nave officina che deve salpare le ancore. Gli Stati Uniti lì non hanno niente. A Santo Stefano sono ospiti, diciamo così, del demanio della Marina Italiana. Devono semplicemente levare le ancore, pare entro il febbraio 2008. 
Quello che preoccupa è che la Commissione Difesa abbia chiesto lumi a Soru per sapere se ci sono dei capi formali, ma ancora non si sa niente. Anche noi cittadini abbiamo solo notizie stampa. E quando la stessa Commissione Difesa alla Camera non sa niente di niente sull’esistenza di atti formali, necessaria anche se si dà la disdetta di un semplice atto di locazione privato, viene quindi il dubbio che ci sia aria di imbroglio, a spese della Sardegna. 
In un dibattito pubblico fatto con il Sottosegretario alla Difesa Casula, è sorto infatti un altro problema. Ammesso che vadano via, chi pagherà la bonifica? A carico di chi è? Casula ha detto che lo Stato sarebbe disponibile ad aiutare la Sardegna e a venirgli incontro! Come può immaginare tutti i presenti sono insorti. Insomma, oltre il danno anche la beffa!
Quando mai i costi sono a carico dell’inquinato? E qui stiamo parlando dell’immondizia degli Stati Uniti, con costi spropositati. 
Così, è più facile smantellare la base piuttosto che bonificarla. Il tempo medio di bonifica di una base normale, e non parlo dei poligoni che generalmente sono ancora più inquinati, va dai 15 ai 30 anni, con costi astronomici. Dati confermati anche da uno studio del CNR ( Consiglio Nazionale delle Ricerche; n.d.r.) per il poligono di Teulada. Naturalmente 15-30 anni a poligono veramente chiuso e spento, non certo con continui lavori in corso.
Un ammiraglio ha detto che per l’esercito sarebbe molto più conveniente comprare una villetta a tutti gli abitanti e portarli in Tunisia!».

Vi sembra quindi che non ci sia l’intenzione di bonificare l’area?

«Normalmente sono andati sempre via senza fare le bonifiche, tranne quando sono stati costretti. In Costa Rica c’è una vertenza che dura da 15 anni, perché hanno cercato di dargli una cifra forfait insufficiente. In Porto Rico stanno pulendo, con gli occhi della popolazione addosso, però il Porto Rico è Stato libero associato agli Stati Uniti, per cui praticamente sono in casa. Lì hanno fatto il passaggio dall’area militare ad oasi naturalistica, anche se la bonifica è fatta in maniera un po’ rozza. La lotta per la bonifica è lotta forte ovunque sono state smantellate le basi militari».

Quindi, in definitiva in Sardegna quante basi straniere ci sono?

«La base della Maddalena è l’unica base statunitense in Italia che non rientra nel principio che si è detto della doppia chiave, del doppio comando. Per esempio ad Aviano, Sigonella, che sono basi dove ci sono gli Stati Uniti, questo principio vige, cioè c’è un comandante statunitense e un comandante italiano e le cose in teoria sono decise dall’Italia. Anche se l’unica presa di posizione che l’Italia inpugnò fu hai tempi di Craxi, con la storia di Sigonella.
La Maddalena, invece, fuoriesce da questa catena di comando poiché dipende direttamente dal Pentagono. È l’unica struttura totalmente fuori controllo Nato.
Poi abbiamo i poligoni, che a livello numerico sono quattordici, anche se a noi interessano in particolar modo tre.
Si può dire che in Sardegna l’industria di guerra è nata moderna. Nell’isola c’è la massima concentrazione degli impianti. In Italia ci sono 40.000 ettari di demanio militare, e di questi 24.000 sono concentrati in Sardegna. 
C’è il poligono di Quirra, il più grande in assoluto d’Europa. Poi segue il poligono di Teulada, che è il secondo poligono più grande d’Europa ma il primo per intensità di utilizzo, con circa 7.200 ettari, la metà del poligono di Quirra. 
Poi c’è il poligono di Capo Frasca con circa 1.470 ettari, legato alla base aerea di Decimomannu, che sono un altro migliaio di ettari.
Poi c’è tutta la militarizzazione del cielo e tutta la militarizzazione del mare. Per esempio il mare annesso a Quirra supera tutta la superficie della stessa Sardegna. Il mare annesso a Teulada sono qualcosa come 750km3».

Ma all’interno di questi poligoni ci sono solo americani od anche altre forze straniere?

«La base della Maddalena è solo statunitense. I poligoni italiani sono sotto comando italiano, però tutte queste strutture italiane sono messe a disposizione della Nato, e molte cose sono state fatte con i finanziamenti della Nato».

Mariella, per concludere, lei fa parte del Coordinamento Sardo “Gettiamo le Basi”. Ci dice a che cosa punta la vostra iniziativa?

«Noi siamo nati molto casualmente alla fine del 1997. In quell’anno veniamo a sapere che si stava organizzando un convegno ad Aviano per discutere sulle basi, convegno aperto a tutti. Così noi, che siamo la regione più martoriata di tutta Italia, abbiamo deciso di partecipare al convegno, che si chiamava “Gettiamo le Basi”, presentando un nostro documento. Dal convegno di Aviano è nato un coordinamento tra le varie realtà italiane omonimo. Poi siamo rimasti soltanto noi del coordinamento sardo, perché le altre realtà avevano un impatto meno pesante del nostro. Noi poi abbiamo anche puntato su un patrimonio di conoscenze e di esperienza che il movimento sardo aveva messo in campo già da anni. Mentre la maggior parte delle realtà italiane non ha una storia di antagonismo, noi ne abbiamo una di 50 anni, abbiamo grande un patrimonio di informazione e di lotte. Siamo così rimasti noi e piano piano si sono cominciati a formare altri comitati “Gettiamo le Basi”, per esempio in Emilia Romagna.
Una delle prime battaglie che abbiamo portato avanti è stata la battaglia dei comitati di quartiere a Cagliari, riguardo al deposito sotterraneo di combustibile per gli aerei di Monte Urpinu. Battaglia storica per far chiudere il deposito e denunciare quello che la maggior parte della città non sapeva, se non quelli che avevano fatto le lotte con i comitati di quartiere. Quando uscì la notizia l’impatto fu una specie di bomba. L’allora sindaco di destra di Cagliari (Delogu; n.d.r.), attuale Senatore di An, denunciò l’aeronautica alla magistratura. Anche se non prese nessun provvedimento politico come avrebbe dovuto fare.
Poi da lì sono scaturite tutta una serie di altre battaglie, come nel 2000 che, grazie all’azione fatta da La Spezia, si è venuto a sapere che la Maddalena e Napoli non erano gli unici porti nucleari ma che in Italia ce ne sono undici e tra questi anche Cagliari». 

Quindi uno degli scopi del vostro coordinamento è proprio quello di informare. 

«Si, noi agiamo soprattutto a livello di informazione. Se questo verminaio ha potuto proliferare in Sardegna è perché la maggior parte delle persone sono tenute all’oscuro. Una volta feci vedere una cartina con tutte le basi di appoggio al sindaco di Villaputzu e ne fu stupito, non conoscendo neanche lui tutta la realtà dei fatti. Abbiamo cominciato a presentare dei dati che ormai sono diventati quelli ufficiali. Far prendere atto che la Sardegna è gravata dal 60% delle strutture militari italiani, le peggiori. Perché non si può mettere a paragone il palazzo di rappresentanza che c’è a Roma con un poligono, che è un aria di tiro dove di fanno i cosiddetti giochi di guerra, con vero munizionamento da guerra. Il nostro obiettivo è rendere noto che la Sardegna ha subito e continua a subire la peggiore colonizzazione militare della storia italiana».

Per contattare Mariella Cao e il Coordinamento Sardo di Gettiamo le Basi: http://freeweb.supereva.com/gettiamolebasi/

Link:
(1) http://lists.peacelink.it/armamenti/msg00691.html
(2) http://www.disinformazione.it/test_sulla_popolazione.htm
(3) http://lists.peacelink.it/disarmo/msg00852.html
(4) http://italy.peacelink.org/editoriale/articles/art_15248.html