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2002 08 09 * La Repubblica * Dal crc alla rinascita i vent'anni dell'Ambrosiano * Massimo Riva

Nove agosto 1982-nove agosto 2002. Sono giusto oggi vent' anni dal giorno nel quale al maggiore scandalo finanziario della storia recente - il "crac" del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi - un piccolo pugno di italiani per bene seppe imprimere una svolta positiva: facendo prevalere la logica trasparente del ritorno alla correttezza economica sulle tante e oblique manovre che miravano a trattenere la maleodorante eredità di Calvi sul terreno paludoso dell' intrigo politico. Il 9 agosto ' 82 è, infatti, il lunedì nel quale gli sportelli della banca dissestata si riaprirono sotto l' insegna del Nuovo Banco Ambrosiano, un soggetto letteralmente creato e messo in azione nel corso del frenetico week-end precedente, al quale fu affidata l' ardua missione di riportare ordine gestionale e normalità operativa in un istituto che le scorrerie precedenti avevano trasformato in una centrale d' affari, al tempo stesso, sporchi e cattivi. A due uomini in modo specifico va attribuito il merito d' aver fatto questa scelta coraggiosa, con la quale furono messi d' un colpo fuori gioco i tanti e famelici appetititi politici. Soprattutto di coloro che, avendo trafficato in passato con Calvi, erano violentemente interessati a non essere estromessi dalla gestione delle conseguenze di quei malaffari sui quali avevano chiuso entrambi gli occhi ovvero avevano coperto con oggettiva connivenza. Di questi due personaggi il primo fu l' allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, un uomo della cui voce, ora sventuratamente silente, è mutilata l' Italia della ragione e del diritto. Il secondo è il governatore della Banca d' Italia dell' epoca, quello stesso Carlo Azeglio Ciampi che l' intero paese oggi riconosce come il suo più prestigioso rappresentante al vertice dello Stato. Un terzo uomo, però, va richiamato insieme agli autori della brillante e rapida soluzione del caso Ambrosiano. Quel Giovanni Bazoli che Andreatta e Ciampi vollero alla presidenza del Nuovo Banco, affidandogli così la parte più ingrata dell' operazione: trasformare un' azienda in dissesto in un' impresa in grado di tornare sul mercato. Compito che in quel 9 agosto di vent' anni poteva apparire temerario, ma che Bazoli svolse con pieno successo. Per capire il senso dei tanti elogi che oggi, a distanza di tempo, è doveroso attribuire a questo pugno di galantuomini, occorre ricordare almeno per sommi capi che cosa fu e in quale clima esplose lo scandalo dell' Ambrosiano. Nel giugno 1982 la spericolata avventura di quello che era stato soprannominato niente meno che il "banchiere di Dio" (per i suoi stretti e oscuri legami d' affari con la finanza vaticana dello sciaguratamente noto monsignor Marcinkus) era giunta a una duplice, drammatica conclusione. Sul piano personale, perché il corpo di Roberto Calvi fu trovato impiccato sotto il ponte londinese dei Blackfriars e ancora oggi è mistero fitto se la sua fine sia dovuta a un suicidio o a un più verosimile assassinio. Sul piano aziendale, perché il banchiere scomparso aveva lasciato alle sue spalle un istituto in rovina con un complesso di buchi finanziari stimati nell' allarmante cifra di circa 1.300 milioni di dollari dell' epoca. Un' enorme voragine provocata sia dalla sparizione d' una montagna di dollari in movimenti sull' estero dapprima appoggiati e poi disconosciuti dalla banca vaticana (lo Ior del citato Marcinkus) sia da investimenti con finalità politiche più che economiche, come i crediti concessi a diversi partiti ovvero l' acquisto d' una partecipazione di grosso peso nella Rizzoli per poter conquistare il controllo del Corriere della Sera. Dinanzi a un "crac" di simili dimensioni, nel quale rischiava di restare seriamente coinvolta la credibilità dell' intero sistema bancario nazionale verso l' estero, la prima e obbligata mossa di Tesoro e Banca d' Italia fu il commissariamento del Banco. Ma fin dalle prime settimane apparve chiaro che la fuga dei depositanti e la revoca degli affidamenti stavano creando una situazione comunque insostenibile. Di giorno in giorno diventava più pressante l' esigenza di scegliere tra la messa in liquidazione del Banco (ovvero il fallimento secondo la legge bancaria) e un salvataggio in piena regola a spese dello Stato. Per quest' ultima soluzione premeva con forza buona parte del mondo politico che aveva goduto in passato dei favori di Calvi e che ora, attraverso l' intervento della mano pubblica, mirava a coprire i propri meno confessabili trascorsi e perfino ad allungare le mani sul boccone più ambito: il controllo del Corriere della Sera. Ma né Ciampi né Andreatta vedevano di buon occhio una soluzione che, in pratica, avrebbe usato i soldi dei contribuenti per lasciare impuniti i complici di Calvi e salvaguardare, anzi rafforzare, l' infeudamento partitico sul mondo creditizio oltre che - tramite il Corriere - su quello dell' informazione. Di Beniamino Andreatta, in particolare, è d' obbligo richiamare al riguardo un memorabile rapporto al Parlamento, nel quale il democristiano ministro del Tesoro non esitò a puntare il dito con severità anche contro le corresponsabilità della finanza vaticana nei malaffari di Calvi, dando una lezione d' ineccepibile senso dello Stato all' intera aula di Montecitorio. Quella stessa aula nella quale, alle prime avvisaglie di guai economici e giudiziari per Roberto Calvi, s' era levato niente meno che un calibro da 90 come Bettino Craxi per difendere il discusso banchiere dalle inchieste dei magistrati di Milano, duramente attaccati dal leader socialista con un piglio berlusconiano ante litteram. Fra queste due Italie vinse allora la migliore. In un vorticoso fine settimana d' agosto Andreatta e Ciampi, resistendo a ogni pressione particolare, portarono a compimento il loro piano. Venerdì 6 agosto, fu decisa la messa in liquidazione del vecchio banco e costituita la società del Nuovo Banco Ambrosiano con un "pool" di banche private e pubbliche. Sabato 7 agosto, la Banca d' Italia concesse alla nuova società l' autorizzazione alla gestione del credito. Domenica 8 agosto, i liquidatori del vecchio Banco cedevano al Nuovo le attività bancarie e le principali partecipazioni finanziarie, tra le quali il contesissimo 40 per cento della Rizzoli-Corriere della Sera. Così lunedì 9, secondo una trasparente logica istituzionale e imprenditoriale, si poteva cominciare a fare ordine e pulizia nella gestione dell' Ambrosiano, mentre ai liquidatori veniva affidato il non meno arduo compito di recuperare il recuperabile. Con gli esiti positivi che si sono poi visti. Vent' anni dopo, la lezione di questa vicenda rimane, tuttavia, duplice. Da un lato, essa dimostra a quali enormi disastri economici e di malcostume politico può portare la spregiudicatezza di taluni operatori finanziari quando sono lasciati liberi di giocare con le buone regole della correttezza mercantile. Ovvero anche soltanto di aggirarle con la copertura di un potere politico corrivo (magari per comparaggio d' interessi) nei confronti di chi naviga sui mercati infischiandosene del codice civile come di quello penale. Dall' altro lato, proprio la memoria del "crac" Ambrosiano rende oggi ancora più inquieti e allarmati dinanzi allo spettacolo d' una maggioranza berlusconiana che, dopo aver ridotto a una frivolezza il reato di falso in bilancio, minaccia pure d' annacquare il delitto di bancarotta. D' accordo che la lotta fra le due Italie non avrà mai fine, ma la storia insegna anche che un paese senza memoria è, purtroppo, un paese senza (un buon) avvenire.