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1995 10 11 * La Repubblica * Scoperta la banca di Cosa nostra * Attilio Bolzoni

PALERMO - La mafia di Palermo ha avuto per trent' anni una sua banca privata, un istituto di credito che ha riciclato centinaia e forse anche migliaia di miliardi. I soci più importanti, erano capi mandamento e capi "famiglia". I clienti più rispettati, erano eserciti di uomini d' onore, quasi tutti gli imputati dei maxi processi. Quella che i finanzieri dei reparti speciali definiscono la banca di Cosa Nostra, è la "Cassa Rurale ed Artigiana di Monreale".

Fondata nel 1900 come società cooperativa, "rilevata" dai boss intorno ai ruggenti Anni ' 60, l' istituto di credito ha funzionato fino a poche settimane fa quasi esclusivamente come cassaforte dei clan. Agenzie aperte a uso e consumo della "famiglia" competente per territorio, sportelli nati per volere di boss come Stefano Bontate, succursali inaugurate a San Giuseppe Jato o a Roccamena sotto la stretta "vigilanza" di Bernardo Brusca.

L' inviolabilità di una banca intorno alla quale avevano già indagato poliziotti come Boris Giuliano, carabinieri come Emanuele Basile, magistrati come Giovanni Falcone, è crollata dopo una difficile indagine della Finanza e della Dia, inchiesta parzialmente conclusa ieri con 4 arresti, qualche decina di avvisi di garanzia e 8 funzionari dell' istituto bancario "interdetti dalle funzioni". In galera è finito naturalmente il direttore generale della Cassa Salvatore Nicolosi, i suoi due più stretti collaboratori - Antonio Lo Verde e Salvatore Lorito - e l' imprenditore Gaspare Gambino, ex presidente della "Palermo Calcio" e della "Ternana", costruttore, amministratore di una miriade di società e, a quanto pare, anche uomo d' onore.

Nelle investigazioni di Dia e Finanza - titolari dell' inchiesta i procuratori Luigi Croce, Biagio Insacco e Domenico Gozzo - c' è la storia degli affari di Cosa Nostra, ma anche quella di un' altra Palermo popolata da commercialisti e avvocati notissimi, imprenditori edili con improvvise e sospette liquidità, uomini d' onore "emigrati" al Nord in cerca di fortuna. Come il misterioso professore Pietro Di Miceli, "indicato da più fonti come uno dei professionisti più vicini all' area di mafia corleonese, di cui avrebbe curato per lungo tempo gli interessi economici".

O come l' avvocato Salvatore Matta, fermato su una Mercedes un giorno del gennaio dell' 89 alla frontiera - di ritorno dalla Svizzera - senza documenti e coinvolto l' anno dopo in un' inchiesta di riciclaggio - poi archiviata - con l' ex ragioniere generale del Comune di Palermo Armando Celone. O come il mafioso "milanese" Vittorio Mangano, descritto dai dirigenti dell' istituto di credito - quando lui chiese un prestito - come "persona di ottima moralità": Mangano, a quel tempo, aveva già subito condanne per mafia e traffico di stupefacenti.

Per i procuratori di Palermo che indagano su questi affari, Vittorio Mangano "si è ritagliato un ruolo di cerniera tra la criminalità organizzata e settori apparentemente sani della vita sociale nazionale". La parte più consistente dell' indagine sulla banca di Cosa Nostra riguarda comunque due imprenditori palermitani, Gaspare Gambino e Salvatore Sbeglia. Il primo - proprio per i suoi interessi economici a Roma - è finito pure nelle dichiarazioni di alcuni pentiti della banda della Magliana.

Il secondo, imputato nel processo per la strage di Capaci, è uno dei soci più importanti dell' istituto di credito di Monreale. Tanto influente da ottenere prestiti miliardari senza offrire una sola garanzia, tanto amico del capo "famiglia" della Noce Raffaele Ganci "da fare per lui qualunque cosa", come ricorda il pentito Cancemi. Tra i soci dell' antica banca di Monreale non poteva mancare il capo della "famiglia" di quella città: il boss Settimo Damiani.

L' elenco dei clienti mafiosi, è lunghissimo: sono centinaia e centinaia. Dai Federico di Santa Maria del Gesù ai Vernengo di Sant' Erasmo, dai Di Maio di Passo di Rigano ai D' Angelo di Corso dei Mille. Una lista che nell' indagine della Finanza è corredata da numeri di conto corrente, cifre a nove zeri di "nullatenenti" molto ricchi. La Banca d' Italia, per ben due volte, ha provato a indagare sulla Cassa di Monreale. Ispezioni che finivano contro un muro di omertà e pacchi di carte false.

Alla Banca d' Italia non potevano certo immaginare chi fosse in realtà Salvatore Nicolosi, il direttore della Cassa. Era un signore che con un suo amico di nome Pino - potenza delle intercettazioni ambientali - conversava così: "...a me Gambino per telefono...dovevamo uccidere noi i carabinieri di Rocca...ma se ci accolliamo un' esplosione, non avremo più quello che ti ho detto prima....No, nei gabinetti della sala bunker non lo possiamo fare per motivi di sicurezza...andare a mettere la bomba...io non lo faccio".