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1992 04 22 * La Repubblica * 'Misi in guardia Casaroli sul Banco' * Antonio Ramenghi

C'era davvero un filo rosso che univa l'allora segretario di Stato vaticano, Agostino Casaroli, l'allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e 'ambienti e personaggi notoriamente anticlericali, comunisti e filocomunisti' , come sostiene la lettera indirizzata al Papa a firma Roberto Calvi, lettera che non fu mai recapitata? Contatti tra Andreatta e Casaroli ce ne furono sì, ma dopo la morte di Calvi. L'ex ministro del Tesoro pur non entrando nel merito dell'autenticità della lettera spiega:
'Prima della fine di Calvi mi incontrai con Casaroli una sola volta, nell'aprile dell'81, ma per discutere di un problema valutario sorto a proposito delle opere di assistenza di Madre Teresa di Calcutta e del regime dei rapporti delle case generalizie con le autorità valutarie italiane. In quell'occasione parlammo anche della Banca presieduta da Calvi e dissi a Casaroli di essere preoccupato, come cattolico, per la situazione dell'Ambrosiano perché temevo potesse nascere un nuovo caso Sindona'.

Che cosa le rispose Casaroli?
'Mi disse che pur sedendo nel consiglio dello Ior, in forza della sua carica in Vaticano, non era in grado, salvo ricorrere al consiglio di esperti, di valutare i bilanci e le operazioni della banca vaticana. Mi disse che se le valutare i bilanci e le operazioni della banca vaticana. Mi disse che se le preoccupazioni sul futuro del Banco fossero divenute anche sue ci saremmo rivisti per confrontare le nostre opinioni'.

E questo si verificò?
'Rividi il cardinale Casaroli solo dopo il crack della banca e la morte di Calvi. E' per questo che un filo di perplessità suscita la lettera pubblicata da Repubblica, là dove sembra delineare una mia continuità di rapporti con Casaroli precedente il fallimento della banca, se non addirittura una sorta di ' congiura' contro di essa. Solo dopo il crack, come ho spiegato anche nelle due deposizioni fatte ai giudici di Milano, per ovvi motivi i rapporti ci furono con Casaroli e con funzionari vaticani e tra le rispettive ambasciate, rapporti che furono registrati dai giornali. Ma ripeto a quell'epoca Calvi era già morto'.

Allora e ancora dopo, fino a oggi, c'è stato chi ha sostenuto che la liquidazione del Banco Ambrosiano poteva essere evitata...
'Al ritmo di accelerazione della fuga dal Banco dei risparmiatori, entro l'agosto dell'82 la banca sarebbe scomparsa. La decisione di liquidarla, decisione presa ai primi di agosto, ha consentito una gestione non traumatica di quello che poi è stato il suo salvataggio. All'epoca ero ossessionato dallo spettro della chiusura degli sportelli con quel che ne sarebbe seguito. Avevo vivo il ricordo del crack della Banca del Trentino e Alto Adige, nel '33, della quale mio padre era vicedirettore generale. Ero bambino e fui allontanato da casa perché si temeva che i risparmiatori le appiccassero il fuoco'.

Si corse davvero questo rischio anche con il Banco Ambrosiano?
'Certamente, per tenere il Banco Ambrosiano in bonis, ed evitarne la liquidazione occorrevano subito 1.300 miliardi. E all'epoca non c'era nessuno, a eccezione della mafia, in grado di compiere un intervento di quel genere. Lo dissi chiaro e tondo a chi, tra i politici, mi sollecitava a trovare una soluzione in quel senso. Il quel momento tutte le linee di credito esterne si erano prosciugate e di fronte a quel disastro anche l'Associazione di Banche e Banchieri convenne che la liquidazione rimaneva l'unica via per evitare traumi ancora peggiori di quelli vissuti dalla comunità finanziaria e dai risparmiatori'.

I liquidatori del Banco Ambrosiano hanno recuperato circa la metà dei 1.200 miliardi che mancavano nelle casse del Banco, grazie anche alla collaborazione del Vaticano che ha messo nella liquidazione circa 240 miliardi. Altri beni, come la Rizzoli o la Toro, la compagnia di assicurazioni che faceva capo al Banco, sono stati alienati a prezzi enormemente inferiori al loro valore. C'è chi sostiene che forse quel buco si poteva colmare.
'Col senno di poi e soprattutto con quanto emerso dopo, per esempio i 100 milioni di dollari bloccati in Svizzera sui conti di Gelli, si possono dire tante cose. Anche la Borsa che negli anni successivi al crack si riprese poteva essere un elemento a sostegno di questa tesi. Ma in quel momento, di fronte allo sfacelo della Banca, la decisione presa fu quella di tutelare i risparmiatori e più in generale l'intero sistema bancario italiano. E fu una decisione che trovò d'accordo tutti'.